L’Italia dispone di un patrimonio inestimabile ed ineguagliato in termini storico, artistico e culturali che, se adeguatamente valorizzato, potrebbe costituire un motore di sviluppo per intere città e territori. Purtroppo non sempre ed ovunque tale logica prevale. Spesso, beni di incomparabile bellezza e pregio sono abbandonati all’usura del tempo oppure, nella migliore delle ipotesi, finiscono per costituire una voce di costo che, in epoca di crisi, si fatica sempre più a giustificare.
Ad introdurre il tema e la sua complessità è la professoressa Paola Fandella, Coordinatrice del Corso in Economia e gestione dei beni Culturali e dello Spettacolo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Come ben chiarisce Paola, la valorizzazione dei beni storici, artistici e culturali non può essere ridotta ad una pura questione gestionale o organizzativa. Si tratta di una azione culturale essa stessa poiché essa parte dalla capacità di riconoscimento “di ognuno di noi nel patrimonio d’arte in cui abbiamo la fortuna di vivere”.
A tale capacità di conservazione e valorizzazione occorre dunque educare e rieducarsi, in un percorso di progressiva corresponsabilizzazione personale e collettiva nei confronti di una eredità che non ha eguali nel mondo” ed attorno alla quale è possibile ricostruire nuove trame identitarie e nuovi percorsi di sviluppo socio-economico.Ilde Rizzo, docente di Scienza delle finanze nell’Università di Catania e componente dell’Executive Board dall’ Association for Cultural Economics International, suggerisce come l’assunzione di prospettive differenti rispetto alla questione della valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico e culturale possa generare (o degenerare in) traiettorie molto differenti rispetto alla possibilità di produzione di valore condiviso.
Non raramente nel nostro Paese si afferma una visione statica, solo conservativa che cristallizza ed ingessa non solo il bene ma anche le possibilità di dialogo tra soggetti e settori. Il ruolo delle istituzioni appare dunque cruciale quale catalizzatore di risorse, facilitatore di un pensiero integrato e sperimentatore di pratiche innovative.
Il significato di Officine Culturali è analizzato dalla nostra Patrizia Cappelletti che legge il percorso di valorizzazione nei termini di “riconoscimento di un valore – quello di una eredità culturale – da cui si originano e si affermano nuovi valori”.
Questo riconoscimento è la scoperta di una appartenenza reciproca tra noi e il bene, una città e quel bene, dentro la riscoperta di una comune radice identitaria e di un rapporto di reciprocità da cui si originano diritti – al godimento di quel patrimonio – e di doveri – di custodia, elevazione e trasmissione dello stesso alle generazioni future.Le città possono aprirsi allo sviluppo a partire dalla valorizzazione di un bene culturale ereditato dal passato,oppure trarre nuovo impulso all’innovazione offerta da nuove produzioni culturali.
E’ il caso del quartiere newyorkese di Soho, la cui storia viene riletta da Arjo Klamer, docente di Cultural Economics presso la Erasmus University di Rotterdam e che ha condotto una ricerca per conto del Parlamento Europeo sui temi del finanziamento alle arti e alla cultura in Europa.
Quali i maggiori problemi da affrontare nel caso in cui decidessimo di intraprendere un percorso di riscatto e di valorizzazione di un bene storico-artistico e culturale?Ce ne parla Marco Giavazzi, sindaco di San Benedetto Po (Mn), caso già raccontato dall’Archivio della generatività italiana. Molto coraggiosamente, alcuni anni fa, Giavazzi ha avviato un analogo percorso di valorizzazione di uno dei complessi monastici benedettivi più importanti d’Europa. Un caso che oggi possiamo definire di successo vista la creazione di un vero e proprio sistema di sviluppo integrato locale, che solo il terremoto ha fatto vacillare ma non ha arrestato. Numerosissimi i riconoscimenti raccolti a livello nazionale ed internazionale. Tra questi l’inserimento nella lista dei Borghi più belli d’Italia.
Giavazzi illumina un percorso di valorizzazione integrale affascinante ma indubbiamente complesso che ha richiesto notevoli capacità di intrapresa e di networking locali e sovra locali, una grande capacità di visione e di passione, l’abilità a mobilitare competenze raffinate ed elevate professionalità, di bilanciamento tra investimento sul bene singolo e più diffusamente sul contesto ospitante. I maggiori problemi sono dati dalla frammentazione degli interventi e dalla mancanza di una regia unitaria, con il rischio di un’autoimprenditorialità fin troppo onerosa.
Se nel nostro Paese c’è ancora molto da fare, la disponibilità di un patrimonio culturale di indicibile valore che attende solo di essere valorizzato per creare sviluppo è un invito all’intrapresa generativa e all’innovazione sociale.Redazione