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Valorizzare si può, ma in Italia, che fatica

di Redazione

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A Colloquio Con Marco Giavazzi, Sindaco Di San Benedetto Po

Abbiamo già raccontato la straordinaria esperienza di San Benedetto Po, un piccolo comune del Mantovano che ha coraggiosamente deciso di ripensare lo sviluppo locale a partire dalla valorizzazione del suo grande patrimonio storico ed artistico, il complesso monastico benedettino attorno al quale ruotò la storia italiana ed europea attorno all’anno Mille.Il tempo, le invasioni straniere, il mancato investimento avevano portato ad un progressiva valorizzazione e deperimento del bene che è stato in parte svuotato e abbandonato, in parte adibito a spazio scolastico e perfino produttivo.

Il cambiamento della classe politica locale, con le elezioni del 2006, porta in Comune una lista civica guidata da Marco Giavazzi, ancora oggi sindaco di San Benedetto. In aperto disaccordo con le scelte effettuate dal gruppo precedente che sembravano muoversi in direzione opposta a quanto veniva percepita come la vera vocazione del luogo, la nuova Giunta incomincia a ripensare allo sviluppo del paese a partire dalla sua identità più profonda, ovvero, paradossalmente, proprio da quella ingombrante e onerosa per un paese di soli 7000 abitanti, eredità: il complesso monastico.Come trasformare un vincolo in risorsa?

Giavazzi e il suo gruppo riescono con grande impegno e determinazione a costruire reti nazionali ed internazionali e a raccogliere le risorse necessarie per avviare la sistemazione del complesso che diventa ben presto centro di attrazione per un nuovo flusso turistico, in particolare didattico, e perno attorno al quale prende pian piano forma un sistema territoriale integrato che intreccia arte, cultura, natura, turismo, enogastronomia.Il percorso sembra arrestarsi con il terremoto del 2012 che, beffardamente, mette a repentaglio l’enorme lavoro svolto. Ma a San Benedetto non ci si arrende facilmente. Dopo una prima sistemazione, gli spazi museali riaprono, nella speranza di una rapida ripresa dei flussi turistici e di un sostegno concreto dalle sfere istituzionali.

D – Dott. Giavazzi, cosa avete imparato da questa esperienza di valorizzazione?

MG – Potrei sintetizzare in questo modo: un percorso di questo tipo sta in piedi, è sostenibile, se alla fine si riesce effettivamente ad attirare l’attenzione sul bene o i beni che si è andati a recuperare. Altrimenti non serve a nulla.

D – E come si fa ad attirare l’attenzione su un bene?

MG – Il problema maggiore è proprio questo. Sia dalla parte del Governo e dei ministeri, ma anche a livello di Regione e di Provincia si fa fatica ad avere un piano strutturato di promozione culturale e turistica. E’ cruciale entrare in certi tipi di circuiti. Occorre sempre legarsi ad altri tipi di attività, oltre a quella ricreativa e culturale. Dunque, entrare nei circuiti e poi mantenerli vivi, attirare gente esterna. Una grande fatica.

D – Voi ci siete riusciti, però!

MG – Si, noi ci siamo riuniti. Sono state sondate tutte le possibilità e verificato ciò che poteva creare interazione e interesse rispetto alla struttura. Poi si è cercato di canalizzare l’attenzione nelle direzioni che piano piano stavamo costruendo: il circuito turistico, quello culturale, quello storico, quello naturalistico… La fatica c’è non te la toglie nessuno, ma questa diventa molto più grande quando non c’è una regia che potrebbe sostenere la promozione del bene… Per realtà piccole anche fare una brochure può diventare un problema.

D – A Suo giudizio questa regia a che livello dovrebbe essere?

MG – Sicuramente a livello nazionale, poi anche a livello regionale e provinciale. Tra l’altro questi enti possono fare promozione, in parte già la fanno, anche se manca un coordinamento delle attività. Perché non creare degli strumenti in grado di offrire delle informazioni integrate su un tema unificante? Vuoi fare il percorso della via franchigena? Bene, c’è questo, questo e questo! Vuoi fare quello cluniacense? Ecco tutte le notizie! Qualcosa c’è, ma è frammentato. Manca un discorso organico. Sono sempre dei percorsi che si fermano o che non partono neanche… A parte le grandi mete, tutto il resto – quello che chiamiamo di solito “l’Italia minore” e di cui noi siamo ricchissimi – non viene minimamente valorizzato. Così ognuno cerca di andare avanti promuovendo se stesso, con gli elementi di cui dispone che tra l’altro oggi sono sempre di meno… Ed è un peccato, perché questo primo passo potrebbe essere abbastanza semplice da compiere… Valorizzare, integrare, fare sistema… E’ chiaro che, vista la crisi, si farà sempre più fatica.

D – Quindi l’applicazione delle nuove tecnologie potrebbero aiutare molto…

MG – Certamente! E sarebbe anche accattivante, soprattutto per i giovani. Invece trovi solo dei tentativi, sempre parziali, sempre disorganici, dove qualcuno resta fuori… Così ti trovi percorsi della fede che riguardano il nostro territorio e non ci mettono San Benedetto!

D – Per voi è stato vincente la connessione a reti internazionali?

MG – E’ stato estremamente importante. Abbiamo aperto l’attenzione al di fuori dei confini. Ma arriviamo sempre alla stesso nodo: sei tu stesso il promotore della tua realtà! Credo che avremmo ben altri risultati, certamente minori fatiche, soprattutto per realtà piccole, se ci fosse un accompagnamento da parte delle istituzioni nazionali o regionali. Ripeto, oggi ti devi muovere da solo e spesso non puoi neppure utilizzare grandi risorse, perché come piccolo ente non puoi accedervi oppure perché le risorse ci sono ma sono bloccate… A questo proposito occorre chiarire che ci sono risorse messe a disposizione di regione e provincia, ma spesso vengono utilizzate male! Purtroppo non mi pare ci sia una grande visione strategica. Ci dovrebbe essere chi da priorità, chi decide il cosa e il come…

D – Come vi siete mossi in una situazione cosi complessa?

MG – La nostra forza è stata quella di scegliere di garantire un’accoglienza a tutte le esigenze. Abbiamo valorizzato il bene, valorizzando però anche un intero territorio e trasformandolo in sistema. C’erano esigenze da parte del locale sul lato della natura, della cultura… Quella di accogliere e integrare era l’unica soluzione: disporre di un patrimonio di questo tipo è una ricchezza ma anche un forte onere… Perché? Qual è il problema? Che si è lasciati in balia di se stessi anche a livello di gestione. I grandi patrimoni non hanno possibilità di essere gestiti da un ente piccolo. Quindi abbiamo dovuto fare sistema. E stavamo andando a regime! Eravamo riusciti a rendere la cosa, se non sostenibile, almeno accettabile, da parte della nostra comunità. Poi la crisi, ma per noi soprattutto il terremoto ha rimesso tutto in gioco… Anche se, in verità, anche prima moltissimi musei in Italia stavano chiudendo… Pensi, noi eravamo rimasti l’unico museo aperto dell’Oltrepo. La cosa è comprensibile: come fanno i musei a stare in piedi se non hanno ingressi o sovvenzioni? L’errore è stato quello di distribuire risorse per sistemare un numero troppo alto di strutture museali che poi si sono trovate in difficoltà e costrette a chiudere per mancanza di visite… E senza la possibilità di disporre di personale per tenerle aperte. Certo, c’è il volontariato, i volontari sono importanti, ma non possono supplire tutto! In più come in molti altri campi ci sono normative che non ti aiutano. Anche se io volessi introdurre qualche novità non potrei…

D – Se volesse dare un consiglio a chi volesse intraprendere un percorso come il vostro, cosa direbbe?

MG – Prima cosa: avere delle persone che ci credono, perché le difficoltà che si incontrano sono tantissime. Secondo: avere una visione chiara di quello che si intende fare con il bene e di ciò che può essere integrato nel processo. Non è importante solo ristrutturare un patrimonio, non si può limitarsi a definire solo l’impegno economico, occorre vedere molto più in là! Prima di effettuare certi tipi di interventi è meglio chiarire cosa si vuole o si può realizzare. Terzo: avere una strategia che ti porti dove vuoi arrivare e poi pian piano mettere dei tasselli che ti permettano di avanzare. Per noi questo ha significato portare l’interesse di sempre nuove sensibilità verso il luogo. Abbiamo fatto in modo di creare nuove opportunità per il maggior numero di persone, così oggi abbiamo la possibilità di intercettare ed accogliere dal camperista al naturalista, da chi si interessa dell’arte a chi vuole la cultura locale, fino a chi cerca l’enogastronomia! Altrimenti non può stare in piedi niente. Per i piccoli centri significa farsi conoscere e questo passa soprattutto attraverso il passa parola. Non avendo risorse, fai promozioni invitando e attivando risorse.

MG – La comunità di San Benedetto è soddisfatta del risultato? Cosa ha guadagnato San Benedetto dalla valorizzazione del complesso monastico?

MG – San Benedetto è soddisfatto perché è stato migliorato il paese, non il complesso monastico! Se noi avessimo investito e continuassimo ad investire solo nel complesso monastico non sarebbe accettabile, soprattutto in periodi come questo. Non puoi imporre la destinazione di risorse a discapito di ciò che per i cittadini può essere primario. Non possiamo continuare un certo tipo di attività se non vengono compromessi i compiti dell’ente locale che non è quello di restaurare, ma quello di gestire la comunità e rispondere alle sue necessità primarie, che sono quelle della scuola, le strade, etc. Se questo andasse a discapito della vivibilità, anche un’azione importante come la valorizzazione di un patrimonio culturale verrebbe visto come competitor.

D – Invece?

MG – Invece tutte le cose che sono state fatte hanno seguito una strategia ben precisa: l’obiettivo era che il complesso monastico diventasse un plusvalore per attirare e mettere in circolo nuove risorse per sistemare e frazioni, fare nuovi circuiti ciclabili e pedonali, proteggere il centro storico, sistemare la palestra. E sempre nell’ottica della valorizzazione massima: ad esempio, l’area camper quando non è utilizzata diventa il luogo per accogliere le scolaresche… Lo dico così: ogni cosa doveva avere una valenza sul territorio e noi dovevamo far capire a tutti questo nuovo valore aggiunto.

D – Se non ci fosse stato il terremoto la sostenibilità poteva essere raggiunta?

MG – Noi eravamo molto contenti considerando che era stata un’iniziativa solo nostra! Va detto che abbiamo investito in una struttura interna costituita da personale qualificato per portare avanti le progettualità. Anche questo è un punto chiave: mettere insieme persone che per capacità e professionalità ti consentono di andare avanti per progetti. Abbiamo investito soprattutto sul lato della didattica e ci siamo proposti alle oltre 900 scuole delle regioni limitrofe. Questo investimento ci ha consentito di diventare il primo percorso didattico di tutto il Mantovano. Questo vuol dire sostenibilità del personale e delle strutture… A questo si aggiungono gli altri percorsi che abbiamo attivato, come la strada dei vini, l’enogastronomia… Quindi ci sono diverse porte di accesso a San Benedetto. Ma non possiamo pensare che si debba continuare a muoversi da soli per costruire tutto questo! La questione è che in Italia, da questo punto di vista, noi siamo abbandonati. Questo vuol dire che tutto quello che nasce deve diventare un’eccellenza per promuoversi da solo. Così non vengono sfruttate appieno le opportunità che il nostro Paese ha, che certi luoghi possono dare… Solo il fatto di mettere in rete, di applicare nuove tecnologie, di proporre una promozione condivisa già questo ci farebbe fare un bel balzo in avanti… Redazione