La Mutti fa parte di quell’avanguardia imprenditoriale costituita dal 22% delle PMI italiane (La nuova borghesia produttiva. Un modello per il capitalismo italiano, a cura di Mauro Magatti Guerini e Associati, di prossima pubblicazione) caratterizzata dall’attenzione estrema per la qualità e per il contesto in cui opera l’impresa. Qualità dei prodotti che è qualità delle materie prime, dei processi, dei collaboratori, degli investimenti e che si sposa con la valorizzazione delle risorse del contesto locale da parte di un’impresa che rimane contemporaneamente aperta all’internazionale.Molto concretamente, ad esempio, qualità e valorizzazione delle risorse umane, sociali e ambientali qui può significare “non far crescere pomodoro su pomodoro”; può significare accompagnare la filiera all’utilizzo delle innovazioni tecnologiche per il miglioramento dei processi e premiare la qualità delle forniture. Ma anche portare un’attenzione personalizzata ai dipendenti. Tutto ciò concorre alla durevolezza delle aziende che sostengono e che sono sostenute dalle risorse del contesto. Mutti è un esempio di come una sostenibilità che non sia limitarsi a non sfruttare le risorse, quanto invece valorizzarle possa essere un vettore di successo per le aziende.
In primo luogo, perché ne favorisce la durata, quindi la possibilità di generare ricchezza condivisa. Con le parole di Francesco Mutti in una precedente intervista: “L’imprenditore genera ricchezza e cultura non solamente per sé: gli imprenditori illuminati reinvestono i profitti, oltre a fare beneficienza. Poi, il valore economico è un valore, certo, il problema è quando diventa l’unico valore e l’imprenditore considera che quello che ha e che fa è “del suo”, che – come diceva Allen – le generazioni future non hanno mai fatto nulla per noi (…) Soddisfazione è crescita di un’azienda sana e creazione di ricchezza per la filiera.” L’orientamento che sta alla base di questa visione è stato definito “shared value capitalism” da Porter e Kramer, in un celebre articolo apparso nel 2011 sull’Harvard Business Review.
Ovvero, capitalismo del valore condiviso. Non si tratta dunque di un’eccezione, ma di un orientamento emergente, in particolare nel dopo-crisi, nella punta più avanzata del settore industriale globale. Dalla succitata analisi sul territorio nazionale è emerso che la quasi totalità delle PMI che costituisce l’avanguardia imprenditoriale italiana concepisce il proprio compito più in termini di produzione di benessere economico e sociale, di soddisfacimento di tutti gli stakeholder e di sviluppo di una cultura produttiva basata su qualità, bellezza, sostenibilità che in termini di mera massimizzazione del profitto.
La qualità, qui, è il valore sulla base del quale l’azienda costruisce le proprie alleanze: con il cliente a valle, con la filiera a monte – costituita dai 300 agricoltori che si contendono l’ambito “pomodorino d’oro” – passando per la ricerca, da cui attinge in particolare le innovazioni di processo, e più in generale per i dipendenti. Una qualità integrale, infatti, non è mai affare solo dell’imprenditore, perché sono le persone a fare la differenza, a partire da quelle che forniscono le materie prime come, in questo caso, il pomodoro. Che in essenza è legato al territorio che lo produce, dunque ai capitali, di diverso tipo, che in esso circolano. E che per questo rende più intuitivo comprendere quella reciproca dipendenza tra azienda e contesto che esiste in qualsiasi settore.
In quest’ottica, il “non far crescere pomodoro su pomodoro” non è considerato tanto espressione di un sacrificio presente – a partire dal profitto che potenzialmente potrebbe derivare dallo sfruttamento -, quanto invece di un lungimirante investimento sul futuro. “Non far crescere pomodoro su pomodoro” è una spia, oltre che di qualità, della costruzione, da parte di Mutti, di valore condiviso – o contestuale che lo si voglia chiamare – che significa anche valore nel tempo. In un periodo di crisi come l’attuale, che ha decimato le imprese anche nel nostro paese, la strategia del valore contestuale può rivelarsi una garanzia di sopravvivenza per quelle imprese in cui tutto indica che esse sono “build to last”, costruite per durare.