“Salvatico è quel che si salva”. Il celebre gioco di parole di Leonardo svela una verità mai tanto centrale quanto nell’Italia di oggi: in tutti i campi (dalla politica alla cultura, dalla gastronomia alla vita sociale) ciò che salva cresce lontanissimo dal mainstream, dalle dirette tv, dalla ribalta dei social. Sono i luoghi minori, fuori dai circuiti, difficili da raggiungere e poco, o per nulla, celebrati quelli in cui è possibile ritrovare se stessi, e dare un senso al proprio percorso. Luoghi dove si riattiva il circuito vitale, e carico di futuro, tra le pietre storiche del nostro patrimonio culturale e un popolo in cerca di qualcosa in cui sperare.
Se volete un esempio – se volete entrare in un esempio – andate al Castello di Padernello, nella Bassa tra Brescia e Cremona. È uno spettacolare maniero del tardo Trecento, grande da avere oltre cento stanze e ancora circondato dal suo fossato, con tanto di ponte levatoio funzionante. Fondato e abitato dai Martinengo, passo nell’Ottocento ai Salvadego che lo abitarono fino al 1965 (quando già da tempo era stato vincolato e dichiarato monumento nazionale): da allora iniziò, con l’abbandono e la cessazione della manutenzione, una lenta decadenza. Nel 2002 si raggiunse il punto più basso: il crollo di parte della mura esterne e del tetto fece capire che si era a un bivio fatale. E, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi nell’Italia di oggi, si ebbe la forza e la lungimiranza di scegliere la strada più difficile e impegnativa: quella del riscatto.
Il 31 maggio 2005 il Castello uscì dall’asse proprietario di origine feudale che l’aveva posseduto per oltre sei secoli, e iniziò a diventare un bene comune: un passo tutt’altro che ovvio – anzi, quasi profetico – in un’Italia in cui contemporaneamente lo Stato svende ai privati parti anche assai pregiate del suo patrimonio demaniale. Padernello fu acquistato dal Comune di Borgo San Giacomo per il 51% e per il 49% da privati: e si scelse di costituire una fondazione di partecipazione ‘Castello di Padernello’, senza scopo di lucro, che portasse “il Castello e il borgo, ad essere un centro vitale, culturale, di storia e d’arte, inserendosi in un contesto più ampio di recupero di valori fondanti sull’educazione alla salvaguardia del patrimonio culturale per concorrere a rendere più stretto il rapporto tra la storia del territorio ed il suo futuro”. Successivamente, la quota dei privati si è ridotta al 22%, e la restante quota è ora della stessa Fondazione Castello di Padernello (16%), della Banca del Territorio Lombardo ex Bcc Pompiano e Franciacorta (10%) e della Fondazione Cogeme Onlus (1%). Tutte le proprietà hanno concesso in comodato d’uso gratuito trentennale l’immobile alla Fondazione, che sta esemplarmente restaurando e recuperando la struttura architettonica (e non solo: nella soffitta è stato, per esempio, rinvenuto uno strepitoso archivio familiare, le cui filze e pergamene giacevano in stato pietoso, e che oggi invece sono restaurate e catalogate) e curando la rivitalizzazione culturale del monumento.
Quando il presidente della Fondazione, Domenico Pedroni, ti guarda con il suo sorriso sereno e concreto e ti dice che, in pratica, lo scopo della Fondazione è produrre “coesione sociale”, capisci perché è stata inclusa nell’Archivio della Generatività sociale, che raccoglie e segnala le “storie dell’Italia che costruisce un futuro sostenibile e contributivo”. In questi 14 anni il lavoro – tutto volontario: e fondato sul volontariato vero, non sullo sfruttamento di giovani professionisti disperati, come spesso accade – della Fondazione ha riannodato i fili tra la comunità e il castello, puntando su una capillare cura del territorio, culminata, per esempio, nell’accoglienza delle straordinarie opere botaniche dell’artista Giuliano Mauri. Ma non c’è solo l’arte: la Fondazione sta avviando la creazione di un centro di competenza sull’economia circolare come nodo di raccolta e diffusione delle documentazioni e delle buone pratiche di economia circolare e di una impresa sociale per il recupero, restauro e riutilizzo, biciclette, radio e altri materiali, che diventi una nuova opportunità lavorativa.
Anche in questo Padernello è “salvatico”: mentre i celeberrimi musei nazionali – su cui torna a stendersi l’ombra del grande mercificatore Dario Franceschini – si trasformano in outlet di un lusso esclusivo dal sapore neofeduale, questo meraviglioso castello medioevale perso nel nulla lavora per una svolta inclusiva che costruisca una modernità giusta e sostenibile.
In qualche modo, forse era destino: dal Settecento le sale del Castello ospitavano quel Ciclo di Padernello che è il più strepitoso complesso di tele di Giacomo Ceruti, un gigante (di statura europea) della pittura lombarda della realtà che ha dedicato tutta la sua vita a raffigurare i poveri, i marginali, i diversi. Ci si può chiedere perché i ricchi e privilegiati proprietari di Padernello si circondassero di quelle pitture sconvolgenti: oggi, tuttavia, la loro pressante richiesta di ascolto è stata infine accolta. E il “loro” castello è diventato un incubatore di giustizia, ambientale e sociale. Un castello che salva: perché salvatico.