Una generazione “rimasta in panchina”, se non addirittura “perduta”, “bloccata”, che non è pienamente riuscita a trovare una sua collocazione e a interpretare i cambiamenti socio-culturali: è in questi termini che ci si riferisce spesso alla cosiddetta Generazione Y – che identifica i nati tra il 1980 e il 1995,  i primi a diventare adulti nel nuovo millennio, da qui l’attribuzione della dicitura Millennials.

La Generazione Z invece, nata negli anni successivi e cresciuta nel nuovo millennio fin dall’infanzia, sembra saper gestire meglio l’instabilità e l’incertezza; appare disillusa e tuttavia ottimista rispetto a ciò che verrà. Ma come si colloca rispetto alle generazioni precedenti e come interpreta il proprio ruolo di custode e artefice del futuro?

Un’indagine pilota condotta da ARC – Centre for the Anthropology of Religion and Cultural Change, centro di ricerca dell’Università Cattolica di Milano, e On! srl Impresa Sociale, che si inserisce nel quadro delle attività del progetto La Prossima Generazione, dà voce agli under 25, ponendosi in ascolto del loro vissuto nel momento cruciale e senza precedenti della pandemia che ha coinvolto e stravolto la quotidianità di tutti, e in special modo dei giovani. 

 

GENERAZIONE Y E GENERAZIONE Z

Molti sono i tratti comuni tra le due coorti in particolare rispetto al vissuto del contesto digitale e comunicativo: si muovono con disinvoltura tra più piattaforme e più contenuti mediali, gestiscono contemporaneamente la dimensione offline e online, divenendo a tutti gli effetti cittadini dell’onlife (Floridi, 2019).

Diverso invece appare il loro atteggiamento nei confronti del futuro, soprattutto in relazione agli aspetti socio-economici.
I Millennials sono cresciuti in un mondo caratterizzato dalla crescente globalizzazione e digitalizzazione, e in una società sempre più multiculturale e attenta alla tematica del consumo responsabile, tuttavia hanno dovuto fare i conti con una profonda fase di trasformazione del mondo del lavoro, a seguito della crisi economica del 2008-2009. Come ha sottolineato Paola Bignardi infatti, “una generazione partita da livelli di benessere mediamente elevati nella famiglia di origine, con aspettative alte di miglioramento, ma trovatasi poi poco aiutata a orientarsi nella fase di transizione alla vita adulta e con condizioni di contesto poco favorevoli per realizzare i propri obiettivi di vita” (Bignardi et al, 2018: 16).

Gli Zeta invece mostrano forte predisposizione alla sperimentazione e al learning by doing, spinti dalla necessità di muoversi in un mondo che pone sfide inedite e rispetto alle quali le generazioni precedenti non hanno trovato soluzioni del tutto soddisfacenti: flussi migratori, invecchiamento della popolazione, diseguaglianze sociali, culturali ed economiche e problematiche ambientali sempre più urgenti (GlobalWebIndex, 2019). 

Da qui nasce il forte desiderio della nuova generazione di acquisire non soltanto competenze mediali e tecnologiche, ma anche skills life ovvero competenze cognitive, emotive e relazionali per affrontare le sfide di un mondo in continuo cambiamento.

 

ESSERE LA PROSSIMA GENERAZIONE

L’indagine è stata condotta, con la collaborazione dell’Istituto Bilendi, raccogliendo 450 questionari su un campione nazionale tra i 18 e i 25 anni e concentrandosi su quattro focus group esplorativi. 

Abbiamo scoperto storie ed esperienze differenti: c’è chi ha deciso di aprire una piccola azienda agricola per coltivare lavanda, chi è appena tornato dagli Stati Uniti, ma sogna di ripartire al più presto; chi dedica tutto il suo tempo libero al volontariato e chi, durante il lockdown, ha scoperto un’attrazione profonda per il cinema e la musica anni Novanta chi ha scoperto le gioie dell’innamoramento e chi lotta da mesi per uscire da un profondo stato depressivo.

Racconti sinceri, profondi e coinvolgenti, che permettono di inquadrare la “prossima generazione” da nuove prospettive.

Cinque sono i tratti attraverso cui i ragazzi da noi intervistati amano raccontarsi:

  1. Sperimentazione. Concepiscono il proprio percorso di vita in maniera “fluida”, con una forte apertura al cambiamento e una fortissima capacità creativa. Un desiderio continuo di tentare nuove strade, per non incorrere negli errori di chi li ha preceduti e per arginare fin da subito i rischi di trovarsi ingabbiati in una dimensione lavorativa e relazionale che non valorizzi appieno la propria personalità. Da qui la crescente attrattività per l’auto-apprendimento e per il lavoro autonomo. 
  2. Capitale relazionale. Le relazioni (soprattutto quelle orizzontali) rappresentano per questa generazione la principale risorsa per costruire il proprio presente e per proiettarsi nel futuro. “Stare in relazione” significa accedere a esperienze contributive e co-creative, che possono guidare e valorizzare il proprio operato individuale.
  3. Inclusività. Sono una generazione naturalmente aperta e inclusiva, pronta a valorizzare al meglio le singole specificità e individualità, provando a non incorrere nei rischi della neutralizzazione. La sfida infatti come recentemente scritto da Chiara Giaccardi “non è cancellare le differenze (operazione astratta e violenta), ma evitare che divengano diseguaglianze” (Giaccardi 2020).
  4. Espressività. Vogliono sempre e comunque potersi esprimere. Non hanno paura di mettere in scena la propria intimità e neppure le loro paure. “Meglio buttare fuori! Dire quello che si pensa, se no poi rimani bloccato!” (f, 18 anni).
  5. Attivismo. Come i giovani di ogni generazione, esprimono sottotraccia anche una grande domanda di senso e un forte desiderio di dare valore alla propria vita, ma con risposte nuove e sempre più orientate alla sfera privata. Appartenenze e scelte rispondono sempre meno a criteri guida predefiniti (l’appartenenza politica, ad esempio) e sono continuamente rimesse in discussione. A questo si lega un forte senso di responsabilità verso il futuro collettivo (a livello sociale, ambientale ed economico): “siamo la prima generazione che ha in testa il futuro, siamo in queste condizioni perché fino ad ora non si è mai pensato del futuro!” (m, 22 anni).

IL CONFRONTO INTERGENERAZIONALE

Per crescere la prossima generazione chiede a gran voce un confronto diretto con il mondo degli adulti, in un’ottica non solo di scambio di opinioni ed esperienze, ma anche come stimolo ad azioni collettive che possano generare valore per la società.

Appaiono alla ricerca di “persone stimolanti, ispiratrici, ed esperienze positive che possano essere fonte di arricchimento nel processo di crescita, responsabilizzazione, acquisizione di consapevolezza” (Bignardi et al, 2018; 16). 

Non rifiutano il dialogo e neppure lo scontro, anzi quasi lo desiderano, per poter costruire valori e norme che possano servire da “confine” e da contenitore al proprio agire.

ESSERE GENERATIVI

Questa generazione così desiderosa di relazioni e di dialogo comprende e “fa proprio” con grande facilità il paradigma della generatività. “Generatività” per loro significa creatività, libera espressione del proprio potenziale, ma anche produzione di azioni effettive, che possano generare un cambiamento. Significa pensare al futuro, in un’ottica di utilità, contribuzione, espressività, senza dimenticarsi mai “di far passare un po’ di felicità, un po’ di positività!”.

La crisi sanitaria degli ultimi anni e il generale clima di instabilità socio-economica internazionale rappresentano per i giovani uno stimolo a uno stile di vita generativo: “bisogna costruire, mentre tutto sembra traballare e distruggersi!” (f, 21 anni). E ancora: “in un periodo storico come questo, penso ci sia sempre più bisogno di essere generativi”.

La generatività dunque non come una promessa, né tanto meno come un’utopia, ma come “un modo di essere, un modo di rapportarsi al quotidiano!” (m, 22 anni).