Nella sua recente relazione il Governatore della Banca d’Italia ha confermato lo shock subito dall’economia italiana, come dalle economie degli altri Paesi, a causa dell’emergenza sanitaria. Uno shock simmetrico che ha colpito sia la domanda sia l’offerta con una stima di riduzione del Pil per l’Italia tra il 9 ed il 15%. Si spera nel rimbalzo, che dipenderà però dal possibile “ritorno” di Covid-19 in autunno, mentre il Fondo Monetario Internazionalegià stima una riduzione del Pil mondiale del 3% (dopo la crisi del 2008 era stata “appena” dello 0,3%). Sono i numeri che introducono la Lectio Magistralis di Mauro Magatti, sociologo ed economista, professore ordinario presso l’Università Cattolica di Milano, in occasione di Milano Digital Week 2020 appena conclusa.
“Dopo ‘andrà tutto bene’, ‘ripartire’ sembra il mantra odierno – attacca Mauro Magatti – ma, di fatto, ‘ripartire’ come l’abbiamo inteso fino ad oggi è un’idea sbagliata. La ripartenza non potrà mai essere abbastanza veloce rispetto ai problemi che abbiamo davanti. Già ora, dopo il lockdown, ci si accorge che non tutti hanno le stesse possibilità di farlo, e ampi strati della popolazione si trovano in difficoltà, in un quadro geopolitico profondamente mutato”. Non viviamo più nella società della globalizzazione, veniamo da anni di contrapposizioni decise e “assistiamo ad una profonda ri-articolazionedelle catene di valore. Non possiamo limitarci a dire ‘ripartiamo’ perché l’ennesimo shock globale facilmente non sarà l’ultimo”. Dopo l’11 settembre e la grande crisi finanziaria del 2008, Covid-19 rappresenta “una sfida incredibile ed evidenzia l’esposizione ad altri possibili shock, alle fragilità di un modello, quello creato tra gli anni ’80 e ’90, che non può più funzionare”. Senza ignorare il problema motivazionale: “Andare avanti per fare che cosa?”. Un interrogativo per tanti lavoratori ed “ex lavoratori”.
Non mancano però anche i segnali positivi, “le risorse che l’Europa ha promesso rappresentano un aiuto importante a patto di essere capaci di usarle in modo giusto per rilanciare l’economia”. E siamo nel mezzo di una importante trasformazione digitalecon “il digitale come paradigma che sta già cambiando il modo di produrre e vivere”. Rappresenta una straordinaria occasione per affrontare problemi che non si riuscivano ad affrontare, mentre cresce la consapevolezza anche sul tema della sostenibilità. Sempre più le imprese, e la stessa finanza, comprendono oggi che la sostenibilità è un’opportunità per risolvere i problemi e non un peso. Magatti: “L’esperienza appena vissuta dell’essere tutti interdipendenti l’uno con l’altro e con l’ambiente, della libertà che è tale solo in ‘relazione’, che nessuno può andare per conto suo, rappresentano un tesoretto di valore da portarci dietro”.
Nelle grandi crisi “non bisogna guardare al futuro in rapporto al presente ma al presente in rapporto al futuro”. La storia insegna: abbiamo vissuto gli squilibri sociali dopo la Prima Guerra, la Spagnola, i totalitarismi e la Seconda Guerra ma, dopo l’ultimo conflitto mondiale, leadership illuminate e scelte intelligenti, hanno portato democrazia, prosperità, benessere. La letteratura per questo li definisce i 30 anni gloriosi. “Noi siamo oltre quel momento – prosegue Magatti – dopo il terzo shock (11 settembre, crisi del 2008 e ora Covid-19) possiamo scivolare sempre più in basso o aprire un ciclo nuovo. E di questo dobbiamo parlare. Per evitare il peggio non si tratta di ripartire quindi, ma di voltare pagina. Max Weber parla di “spirito del capitalismo”. Spirito inteso come “insieme di nessi, relazioni, modi di pensieri e di fare, che unisce motivazioni, senso di ciò che è giusto e desiderabile” c’entra con il tema perché “l’economia è traduzione in fatto materiale, tecnologico, ed economico dell’evoluzione culturale e spirituale dei popoli. Non esiste un’economia a prescindere”. E l’economia ha sempre a che fare con il modo di pensare.
In modo nuovo è quello di cui parla anche l’economia generativa, di un “nuovo spirito”. Serve una concezione diversa. Sempre di crescita si tratterà, ma una crescita capace di trovare un nuovo (difficile e delicato) equilibrio tra le esigenze della produttività e quelle dell’ambiente; tra l’efficienza economica e la giustizia sociale, tra gli investimenti in tecnologia e quelli sulle persone, tra l’eccellenza e la fragilità, tra la quantità e la qualità, tra la competitività e la coesione. “Oggi assistiamo a processi che hanno una profonda ambivalenza. Veniamo da una stagione (anni ’80 e ’90) in cui l’idea centrale è stata slegare l’economia dalla società, la liberalizzazione. Siamo ora in una fase in cui economia e società stanno cercando di ristabilire una relazione“. Covid-19 rafforzerà questo processo ma potrà farlo con esiti negativi (muri e contrapposizioni) o positivi, ristabilendo una relazione tra sviluppo economico e sociale, se si comprende che non c’è crescita economica senza investire nel sociale. Un vero cambio di prospettiva.
Il digitale cambierà i modi di produzione ed i beni prodotti. Nel rapporto tra economia e società potrà portare ad una “società della sorveglianza” con una potente concentrazione del potere, a ulteriori disuguaglianze e precarietà, oppure potrà rappresentare “una grande rete democratica che articola diversità, unicità e varietà e rende possibile la partecipazione di tutti”. Un altro elemento da sottolineare è che la stagione storica alle spalle è rimasta centrata sull’idea che ognuno è portatore di un desiderio che indirizza a cercare nuove esperienze. E fino ad oggi più desiderio ha significato di fatto più consumo, idea che il neoliberalismo ha portato a conseguenze estreme. Quote crescenti di popolazioni pensano che lo schema non funzioni. Il desiderio oggi lascia il posto alla paura ed all’insicurezza e declina la sua spinta, va pertanto rigenerato.
Economia generativa
L’economia generativa si radica concretamente all’interno di questa lettura storica di lungo e breve periodo. Magatti: “Bisogna smettere di pensare all’economia come meccanismo. Riguarda piuttosto il piano culturale, politico, tecnologico. Se non la ripensiamo in questo senso, corriamo il serio rischio di spendere male i soldi e di indirizzarci alla medesima deriva vissuta negli anni ’20”. Economia generativa è un modo positivo di guardare a questa fase della nostra vita che fa tesoro di quella che Günther Anders ha definito “l’eccentricità umana” in modo diverso e innovativo, come “proiezione al di là di noi”. Si parla di economia generativa, quindi, perché ai processi economici non bisogna guardare nei termini meccanici di un sistema che semplicemente deve funzionare, quanto piuttosto centrarli su una “nuova idea di eccentricità” per rendere l’economia “strumento di sviluppo aperto “all’altro”, mentre fino ad oggi si è pensato solo a basarla sul consumo”.
Il XXI secolo segna quindi la terza fase della modernità. Dalla crescita delle competenze per imparare a produrre, alla maturità dei consumi, oggi crescono i problemi legati all’idea del continuo consumo di risorse, in stretta relazione con gli shock che viviamo, che sono espressione del fatto che la correlazione produzione/consumo attuale non regge. La stagione di una crescita pensata come aumento indiscriminato e illimitato di possibilità è di fatto finita. La crescita ora deve trovare un nuovo equilibrio tra le esigenze della produttività e quelle dell’ambiente; tra l’efficienza economica e la giustizia sociale, tra gli investimenti in tecnologia e quelli nelle persone, tra l’eccellenza e la fragilità, tra la quantità e la qualità, tra la competitività e la coesione.
Così come “la società dei consumi ha rappresentato di fatto un progetto sociale” e un modo di essere – e il consumo è diventato archetipo su cui basare tutto – nel processo generativo la base della spinta creativa si innesta nella relazione con l’altro, non per ragioni morali, ma di realismo. La generatività dice che “il senso dell’essere liberi è aggiungere valore piuttosto che estrarre valore”. La spinta “eccentrica” in questo senso significa ragionare su come tenere insieme economia, assetti culturali e società e come gestire la sfida del digitale, in modo che non produca un esito neo-tayloristico di centralizzazione e di totale alienazione, ma una piena valorizzazione delle capacità umane e diffuse. “L’economia generativa è un contributo per immaginare il post Covid che apre un nuovo momento per cui non si tratta di tornare a correre, ma di ricostruire una serie di relazioni, di nessi, pratiche modi di pensare ed istituzioni che possano fare iniziare una stagione nuova. Per trovare un legame meno rozzo tra la crescita dell’io e lo sviluppo del contesto sociale, non basato sulla sorveglianza ma per segnare un passo avanti”.
La generatività rappresenta quindi una chiave importante per tenere insieme ciò che non sappiamo più tenere insieme “da produttori, a consumatori pensiamo di poter diventare ora generatori di risorse per noi stessi e per gli altri – spiega Magatti – che significa avere la possibilità di costruire e immettere qualcosa nel mondo che prima non c’era ma con una nuova prospettiva di senso”.
Economia generativa, i tratti distintivi
L’economia generativa, che già esiste, presenta almeno tre tratti distintivi: più che alle trimestrali guarda a un tempo esteso, ed alle generazioni che vengono dopo. Dimostrando che è possibile ottenere risultati nel tempo, oltre la tirannia del breve termine. Il secondo elemento, spiega Magatti si lega all’idea di “autorizzazione”. “L’economia generativa è autorizzante nel senso che considera lo sviluppo umano la vera leva e risorsa della crescita”.
E la terza dimensione riguarda la ricerca di relazione tra strumentalità e senso, “non si tratta solo di fare cose in modo efficiente, ma di fare cose dotate di senso”. Per questo “l’economia generativa si rifiuta di pensare che l’interesse a breve termine definisca il rapporto con il mondo, pensa piuttosto che uomini evoluti abbiano la possibilità di fare e raggiungere risultati con la responsabilità di migliorare le cose rispetto a come le hanno trovate, per lasciare quindi un’eredità sensata”.
L’economia generativa sposta quindi il baricentro dalla produzione oltre il consumo verso la capacità di essere parte di processi di trasformazione che riguardano anche le relazioni. Profitto e Pil sono indicatori storicamente importanti, importanti ma imperfetti, e non misurano correttamente quello che si sta facendo. Lo stesso Michael E. Porter in un suo contributo, Shared Value, sposta il baricentro dell’attenzione e parla di nuova prospettiva in cui la dimensione economica è sempre più integrata alla dimensione sociale. L’economia generativa in questo senso rappresenta il driver della trasformazione per il tempo che viene. Magatti: “E’ importante quindi aprire un nuovo ciclo, in tutti gli ambiti, quindi anche ripensare la mobilità, il modo di abitare le città e le città stesse. Bisogna rivedere il modo in cui costruiamo i quartieri e ci muoviamo e siamo in relazione con gli altri. E’ una grande occasione di ripensamento organizzativo”.
Di recente il Gruppo Generatività.it, di cui Magatti fa parte, ha lanciato un progetto specifico per la generazione under 40 che rischia di pagare sulla propria pelle in modo pesante quanto sta accadendo. Il progetto laprossimagenerazione.it invita chi fa parte di questa generazione ad esprimere proposte organizzative, imprenditoriali e di policies che saranno raccolte ed elaborate con un gruppo di mentori professionisti che daranno feedback e accompagneranno le proposte portandole all’attenzione delle imprese per farle lievitare e per creare una community, tra chi nel Paese vuole effettivamente aprire un nuovo ciclo.