È stato presentato al Museo Diocesano di Verona il libro di Mauro Magatti e Monica Martinelli dal titolo «La porta dell’autorità», primo incontro di una serie di appuntamenti inseriti nella rassegna La Tavola della Cultura a cui partecipano esperti nazionali. Mauro Magatti e Monica Martinelli, docenti di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel loro libro propongono una riflessione sul ruolo dell’autorità nella società attuale. Dal ’68 in poi l’autorità è stata bollata come minaccia alla libertà. Ma oggi che risorgono nostalgie per i tiranni e avanzano altre forme di controllo tecnocratico forse è il caso di chiedersi cosa sia davvero l’autorità: non un ostacolo alla libertà, ma una porta aperta, in grado di indicare un percorso tra generazioni. La contestazione, fino al rifiuto, dell’autorità quale freno alla libera espressione del sé è una delle eredità del secondo Novecento – nella confluenza di istanze culturali molto diverse tra loro, dalla sinistra libertaria sbocciata col ’68 al neoliberismo di destra degli anni Ottanta. Sotto accusa finirono i pilastri su cui l’autorità poggiava – la tradizione, la patria, la famiglia, la Chiesa, la scuola – insieme alle relative figure dell’autorità – l’anziano, lo statista, il genitore, il sacerdote, il maestro. Senza padri né maestri si pensava di avere un mondo di pari, ognuno con la libertà di esprimersi senza ostacoli. Eppure «l’immaginario di una società perfettamente piatta – che si configura attorno a una falsa orizzontalità – è una distopia contemporanea», spiegano Mauro Magatti e Monica Martinelli nel libro «La porta dell’autorità» (Vita e Pensiero, pp. 248, 18 euro), dove sottolineano come, uscita dalla porta, l’autorità oggi torna in nuove forme distorte. Assistiamo infatti al moltiplicarsi di spinte per un ritorno all’ordine del «padre» nella forma dell’uomo forte, del tiranno – da più parti invocato come colui che può mettere ordine al caos – o in quella del fondamentalismo religioso, oppure, in modi più sottili ma insidiosi, attraverso un dominio tecnocratico che di fatto punta al superamento della condizione umana come la conosciamo. Anche nel mondo dello spettacolo si assiste a un ritorno dell’autorità, definita in rapporto al criterio della notorietà; un regime che intacca la sfera politica, trasformando il leader in una star e i suoi seguaci in fans. Come respingere queste tendenze? Non si tratta di tornare indietro, spiegano gli autori. Si tratta invece di trovare forme nuove a un termine che rimane essenziale e insieme difficile. Perché paradossalmente un mondo senza autorità non è possibile, se non a costo di perdere la libertà. Etimologicamente il termine autorità va associato all’idea del far crescere. L’auctor è anzitutto il promotore, l’inventore, il fondatore, la cui attività creativa è l’auctoritas che, in senso ampio, si rivolge verso altro/i, autorizzandolo/i, a loro volta, ad agire, a cominciare. Anche se può suonare strano, l’autorità riflette prima di tutto la capacità umana di andare oltre l’istituito. L’autorità genera, non trattiene, è essenziale per la libertà. Occorre quindi ricostruire il legame tra le generazioni, riconoscendo all’autorità la capacità di essere lo snodo tra chi viene prima e chi viene dopo (non solo in senso temporale). Senza quella porta i figli non avranno punti di riferimento per iniziare un nuovo viaggio.•.