«Tre sono le cose più difficili nella vita di un uomo: stare accanto a una persona con un tumore, stare accanto a una persona depressa, crescere un figlio».

Non dimenticherò mai queste parole di una psichiatra. Mi sono tornate in mente in questi giorni in cui, a scuola, si addensano i colloqui con i genitori. Ho sempre chiesto — e quest’anno, grazie agli strumenti telematici per la Dad, il successo è stato quasi totale — che entrambi i genitori (anche nel caso in cui siano separati) partecipino, se possibile, al colloquio.

Questa richiesta, che avanzo anche quando ci sono situazioni complicate, dà sempre buoni risultati educativi e quindi anche didattici, perché si educa in coppia (ai colloqui vengono quasi sempre solo le madri).

Perché? Perché i figli si mettono al mondo in due e sempre in due si ri-mettono al mondo: non assomigliano ai genitori presi singolarmente ma alla loro relazione, che può essere generativa anche quando è ferita o interrotta, anzi ho spesso incontrato genitori separati che, al momento del colloquio, per il bene del figlio, riuscivano a superare le loro distanze, con risultati sorprendenti, perché, in questi casi, proprio il gesto e lo sforzo di riavvicinarsi per lui, vanno a curare la ferita che la situazione ha o ha avuto nella sua vita.

Non voglio che i colloqui si esauriscano in un elenco di voti accompagnati dalle frasi di rito («ha le capacità ma non si applica», «si deve impegnare di più», «è distratto»…), ma siano un’occasione per mettere a punto, di concerto e in concreto, di che cosa ha più bisogno un ragazzo per crescere nella sua integralità.

Se facessimo i colloqui a inizio anno, quando ancora non ci sono voti, avremmo qualcosa da dirci? Se la risposta è no, qualcosa non va, e abbiamo, ancora una volta, ridotto la scuola a luogo di prestazioni da verificare, a fine periodo, come in un’azienda. Così i ragazzi si sentono «voti» e non «volti».

La soluzione alle difficoltà dei figli quasi sempre non sta in interventi di esperti, ma nel fatto che la relazione tra i coniugi sia generativa, cioè creativa. Come un giorno hanno «fatto l’amore» ed è nato un figlio/a, così, perché il figlio rinasca, è necessario che tornino a «fare l’amore».

Che cosa è questo «fare l’amore»? Se l’atto d’amore «in-nova» (introduce «il nuovo» nella storia umana), solo un nuovo atto d’amore «r-innova» (reintroduce «di nuovo» nella storia).

Come? Trovando tempo (ogni giorno se possibile) per parlare del figlio, unendo gli sguardi per concertare azioni e gesti, che nel caso di coppie separate diventano ancora più rilevanti (nel caso di genitore single ho visto intervenire con grande efficacia figure educative di riferimento come zii, nonni o anche i nuovi compagni/e).

Spesso padre e madre mi parlano del figlio/a come se descrivessero due persone diverse, e proprio questa divergenza di sguardi è salutare, per loro e per il figlio. I due sguardi, apparentemente o realmente discordi, sono entrambi necessari e devono unirsi per ri-generare. Solo così un ragazzo sente su di sé l’energia che proviene dall’essere «di nuovo» sognato dai due, nonostante tutto.

Se non c’è questo spazio-tempo del desiderio, il figlio viene identificato con l’eventuale problema che ha e ciascun genitore, per risolverlo, metterà in atto il modello educativo in cui è cresciuto, che magari non è adeguato alla situazione o controproducente, anche perché spesso in contrasto con quello del coniuge.

Educare è un’arte che richiede soluzioni ogni volta nuove, e i genitori sono «l’artista» che aggiunge ogni giorno una pennellata. Una difficoltà si risolve prima e meglio all’interno della relazione anche perché i figli spesso mostrano i «sintomi» dei traumi/limiti di chi li ha generati, ma proprio loro, i figli, sono la cura di queste ferite.

I «fallimenti» dei figli non sono fallimenti, perché l’educazione, lo ripeto, è un’arte in cui si sbaglia ogni giorno ma, per un artista, l’errore non è una condanna ma un gradino di verità verso il capolavoro. Solo così il senso di colpa si trasforma in senso di responsabilità: come vivo io adulto, nella mia vita, personale e di coppia, questo aspetto critico di mio figlio (non legge, non mangia, non parla, dipende dal cellulare…)?

Gli studenti che mi hanno fatto crescere di più sono stati proprio quelli che sfidavano i miei limiti o ferite: per loro ho sofferto di più e spesso «ho fallito», ma grazie a loro sono migliorato, come maestro e come uomo. Dopo anni con i ragazzi posso dire che i problemi che affrontano hanno risposta non solo dentro di loro, ma vanno affrontati anche dai genitori, in se stessi e nel loro rapporto.

Un’azione relazionale è efficace perché è la vita che parla: le parole senza carne (lezioni teoriche e moralismi) invece non hanno presa.

Quando l’amore si fa carne, cioè tempo-pensiero-azione della coppia, si apre lo spazio creativo in cui il figlio trova l’energia per crescere e noi insegnanti il modo per aiutarlo a riuscirci.