Dietro la spinta della diffusione delle tecnologie dell’informazione e dell’affermazione di nuove economie emergenti dentro una geografia mondiale in continuo e accelerato mutamento è in corso da tempo una decisa riorganizzazione produttiva, che sta incidendo sul modello di organizzazione e business delle imprese e sta cambiando il modo con il quale le imprese stesse vivono il rapporto tra locale e globale.
Il nuovo scenario si caratterizza per la frammentazione internazionale della catena del valore: un singolo bene viene prodotto da diverse aziende, localizzate in continenti diversi, ognuna responsabile per una piccola parte del processo produttivo (includendo in ciò anche le fasi della progettazione, della commercializzazione, del servizio). L’evoluzione tecnologica unita alla formazione di queste catene globali del valore rompe quindi i tradizionali legami tra aziende e paesi, aprendo enormi spazi di mercato. Questo processo di frammentazione si adatta – per lo meno potenzialmente – a un modello industriale come quello italiano basato su un’ imprenditorialità diffusa e su un’alta specializzazione nelle fasi produttive a maggiore complessità.
Un’imprenditorialità i cui ingredienti sono: una solida qualità produttiva basata su un’innovazione design-driven; un’organizzazione aziendale costituita da strutture organiche e flessibili; una forte vocazione comunitaria e relazionale; l’attenzione alla valorizzazione delle componenti immateriali e simboliche del prodotto.
Questo modello, profondamente radicato nella tradizione artigiana e nella cultura dei territori (dalla quale trae continuo sostentamento) e fondato su un patrimonio di saperi industriali e di gusto, è chiamato oggi a realizzare, proprio in virtù delle sue caratteristiche, una nuova proiezione internazionale, imparando a “presentarsi al mondo” in modo diverso.
Ciò significa inserirsi nelle catene globali del valore occupando nicchie di specializzazione ad alto valore aggiunto e conquistando spazi di mercato scoperti. Questa sfida vale, con modalità e accenti differenti, per tutti i principali settori del made in Italy, nei quali si fondono tradizione, conoscenza e abilità tecniche: alimentare, tessile e abbigliamento, casa, meccanica (soprattutto strumentale). In questo scenario e dentro questa cornice, Eataly rappresenta un’esperienza e una realtà di straordinaria rilevanza. Per più ragioni. Perché esprime un modello di impresa glocale capace di anticipare e intercettare i bisogni emergenti dei consumatori che oggi non vogliono sentir parlare solo di prezzo ma di qualità, di metodi di produzione, di ritorno alla tradizione sulla base di un progetto culturale e produttivo pensato su scala globale ma basato sulla valorizzazione delle specificità dei territori.
Perché costituisce un nuovo format distributivo che rappresenta una vera e propria innovazione, che spiazza i canoni tradizionali della commercializzazione, portando la partita su un diverso campo di gioco permettendo a piccole realtà produttive locali di emergere e di portare le loro produzioni di pregio e qualità in mercati internazionali – e in catene del valore – altrimenti irraggiungibili; e, per di più, dentro un luogo che rappresenta una vera esperienza di acquisto che esalta quindi sia il contenuto materiale che quello immateriale-simbolico del prodotto.
Ciò acquisisce ancor più valore se si pensa che è proprio l’aspetto distributivo l’anello debole del sistema industriale italiano, a lungo prigioniero dell’idea che il prodotto sia tutto e che il resto – la distribuzione e la relazione con il cliente – seguano meccanicamente. Questa idea ha fatto perdere grandi occasioni al nostro paese (si pensi a quanto realizzato da Ikea nel campo dell’industria del mobile).
Vi sono, in conclusione, due ulteriori lezioni che il caso di Eataly suggerisce e che valgono trasversalmente ai diversi settori. La prima è che l’educazione alla varietà e al dettaglio che Eataly promuove è una sfida valida anche per chi opera nella moda, nel settore della casa o nella meccanica: senza educazione e sensibilità alla qualità dei materiali e delle lavorazioni è difficile per il consumatore distinguere tra proposte diverse. La comunicazione vincente, quindi, è quella che allo stesso tempo informa e forma nel senso che rende consapevoli sulla qualità nonché sui benefici per la salute o per l’ambiente di un determinato prodotto. La seconda lezione riguarda l’ampiezza della sfida cui è chiamato il sistema produttivo italiano. Per difendere e salvaguardare i suoi tratti peculiari, che oggi sono forse ancor più attuali di ieri, è necessario evitare arroccamenti localistici e intraprendere invece strategie aperte al mondo incentrate sulla qualità.