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Eat, pray, love. Una strategia per le imprese glocali

di Redazione

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Nel corso dell’incontro romano con la vivacissima realtà di Eataly ci è tornato alla mente il film di Ryan Murphy (tratto dal romanzo omonimo di Elizabeth Gilbert) EatPrayLove.

Al di là della vicenda narrata, ciò che ci mi pare interessante è la sequenza di verbi in cui si articola il titolo del movie e che si rivela quasi profetica all’interno del tema che vorremmo affrontare questo mese ovvero come articolare oggi l’identità fortemente locale delle imprese italiane con un’apertura al globale con cui è davvero impossibile non fare i conti.I numeri sono, a questo proposito, inequivocabili: le ricerche di settore indicano che in questo periodo di profonda transizione restano a galla le imprese che sono riuscite a posizionarsi sui mercati internazionali. I fatturati che danno ossigeno ai bilanci sono, oggi, quelli esteri. Ma l’internazionalizzarsi non è cosa banale e richiede una strategia di lungo termine.

Roberto Adamoli, ricercatore presso il Servizio Studi della Camera di Commercio di Milano, ci aiuta ad inquadrare il tema e la sua estrema attualità.

Attivando strategie di “glocalizzazione” che – come raccontano lucidamente i contributi di questo mese – diventano passaggio obbligato per le imprese che vogliono stare sanamente e sensatamente dentro questo spazio/tempo.

L’esempio che proponiamo è quello di Eataly, un’idea progettuale, un marchio, una filiera, un certificatore di qualità, una rete di punti vendita e molto altro ancora, il quale, oltre ad investire in Italia si è posto con successo come ponte per l’esportazione in altri paesi di prodotti italiani di alta qualità dell’area food and beverage, dal Giappone agli States.

Ci sembra che il titolo di Murphy suggerisca proprio questo: un abbozzo di strategia delle imprese glocali che rileggiamo controluce nell’esperienza di Eataly.E potremmo dire così: Eat, pray, loveEat, mangia. Il verbo mangiare sottolinea la profonda fiducia che deve contraddistinguere ciò che si offre sul mercato globale. Non si mangia forse ciò che si reputa buono, che fa bene, che è sano? Cerchiamo tutti di mettere in tavola roba di qualità. Questo per ricordare che ciò che produciamo e esportiamo deve essere eccellente. Non a caso quelli di Eataly parlano di “cibi alti”. Secondo questa logica se qualcuno sgarra ci si va di mezzo un po’ tutti. Il sistema Italia dovrebbe garantire proprio questo: la qualità.

Ma è anche vero che riusciremo a far mangiare gli altri se mangeremo noi per primi. Nicola Farinetti nell’intervista è estremamente chiaro: non si vende solo un prodotto, si vende uno stile di vita. E per creare uno stile – non una moda! – ci vuole tempo, metodo, costanza, ma ciò che nasce dura nel tempo.

Attenzione, non dobbiamo rifare tutto da daccapo. Molto è stato fatto prima di noi – pensiamo ai metodi di produzione che si sono raffinati e stabilizzati nel corso dei decenni, la perizia dei mescolamenti tra ingredienti, il rispetto delle tempistiche di produzione – semmai dobbiamo conservarlo ed elevarlo.Pray, prega.Il pregare rimanda alla capacità di entrare in relazione e di sostare nella relazione. Significa riconoscere, prendersi cura di qualcosa o di qualcuno. Si entra in relazione con un prodotto, certamente, ma anche con il suo produttore, con il territorio da cui ha origine, con le materie prime che lo compongono.

Pregare è il packaging che protegge il prodotto, lo distingue e ne racconta le caratteristiche le unicità.

Pregare è però anche la disponibilità a mettersi in gioco con altri, a collaborazione perché quella filiera si componga e resista. Difficile esportare da soli.La nostra struttura d’impresa fatta di piccole piccolissime imprese fatica a pensarsi globale a meno di costruire nuove alleanze e nuove piattaforme condivise, come quella di Eataly.Love, ama.

E infine c’è l’amare che ci rimanda alla passione incorporata nel prodotto, al gusto del fare che diventa “sapore” nel vino e nella pasta, ma anche nell’abito o nel tessuto, nel mobile o nel macchinario tailor made.L’articolo di Giovanni Lanzone, docente alla Domus Academy, presenta diversi casi di posizionamento di successo, tutti accomunati dalla medesima appassionata capacità di realizzazione.

E qui apriremmo un altro capitolo su come mantenere non solo in vita, attaccata al polmone di acciaio, in una dimensione quasi museale e conservativa, ma vitale, generosa, generativa, innovativa questa capacità di appassionarsi e tradurre la passione in cose belle, buone, sane e giuste.