A maggio ho incontrato il vulcanico Farinetti, di cui pubblichiamo l’intervista, piovigginava ed era un giorno di luci traverse sulla tenuta di Fontanafredda (quando io immagino la bellezza immagino Fontanafredda, ipse dixit) eravamo un nutrito gruppo di visitatori a parlare del futuro dell’Italia, capitanati dal patron di Valcucine, Gabriele Centazzo, altro straordinario imprenditore e autore di un manifesto per “Un nuovo Rinascimento italiano”.
Abbiamo parlato a lungo di Eataly e dei suoi progetti e naturalmente della nuova creatura di Oscar, il pisello verde (Green P) che avrà come compito di distribuire prodotti sostenibili, capaci di replicare il modello della filiera del cibo, ma che saranno abiti, mobili e veicoli.Il tema delle piattaforme di vendita e del commercio è un tema fondamentale per dei furbi contadini e dei meravigliosi artigiani come in fondo noi siamo, se si guardano le antiche rotte commerciali di Genova e Venezia sono come un grande polipo che ha la testa nelle due città e le cui braccia (i fondachi, i magazzeni e le colonie) arrivano in tutto il mediterraneo e si allungano a Bruges e a Londra.
Questo abbiamo sempre fatto, per settecento anni, da quando ci siamo levati di dosso la peste e la paura, ricominciando a produrre. I nostri tessuti, le nostre armi, i nostri vini sono secoli che attraversano le reti commerciali del mondo. L’arroganza di un’impresa, che pensava di essere definitiva, quella fordista, ha messo le filiali al posto dei mercati. Ma in questo modo liquido, nell’intendere il quale noi siamo maestri, i mercati – in senso fisico – stanno di nuovo prendendo il sopravvento.
Anche nel cibo, ad un diverso livello di quello in cui Eataly pratica, ci sono altre forme possibili di espansione internazionale che i nostri grandi gruppi (Coop e Esselunga) tardano a vedere attardati come sono in una guerra di retroguardia in patria. Tuttavia qui non voglio parlare del cibo e della ristorazione di cui Farinetti è maestro, ma del design. Nella cattiva influenza del sistema fordista quasi tutti i produttori di moda e design hanno inseguito per molti anni il mito dei negozi monomarca, oggetti costosi in termini di investimento e di dubitabile tenuta in termine di profitto, soprattutto per le marche che non hanno il formidabile ricarico, il famoso margine, della moda e del gioiello.
Oggi cominciano ad avanzare forme diverse che complicano il modello di vendita senza per forza prendere la strada, che Farinetti ha preso, dell’ipermercato o dell’hub. Voglio parlare di tre piccole, ad oggi, esperienze poiche è spesso dal piccolo che emerge il nuovo. Sarò purtroppo breve ma potete vedere tutto, molto di più di quel che dico, sui loro siti.
La prima esperienza è Segno Italiano un’azienda milanese governata da un gruppo di giovani architetti che ha sviluppato una meritevole ricerca, quasi filologica o editoriale, sul prodotto italiano, individuando aree di prodotto artigianale “anonimo” che potevano essere sviluppate. Dico anonimo in senso buono parlando di quella ricchezza secondaria del nostro patrimonio collettivo, in seconda linea rispetto alle grandi marche, che è la ricca capacità produttiva delle nostre “piccole città”.
Voglio ricordare a tutti che quando Mantegna, Raffaello e Piero (della Francesca) lavoravano, negli stessi anni, ad Urbino, la piccola capitale del Montefeltro non arriva ai 15.000 abitanti. Così Alberto Nespoli, Domenico Rocca e gli altri sono andati in giro per l’Italia a “ri-scoprire” le sedie di Chiavari, le ceramiche d’Este, i ramaioli tridentini e i vetri verdi di Empoli. Avendo in mente un filo guida per la loro ricerca: la calda domesticità delle nostre case e la convivialità delle nostre tavole. Hanno parlato e filmato i produttori, gli imprenditori e gli artigiani, hanno distillato il valore di queste storie e cominciato a vendere questi prodotti sul web, nei saloni del mobile e nei temporary shop. Una piattaforma di senso, orizzontale e motivata, che ruota metaforicamente attorno alla tavola e che lavora non solo alla vendita ma alla illustrazione a affinamento del prodotto.
La seconda iniziativa, di cui voglio parlarvi, viene dalla prorompente creatività di Diego Paccagnella, Diego che è un caro amico ed è stato anche compagno d’avventura in Domus Academy di molti momenti didattici di intenso livello, ad un certo punto della sua vita, dopo la nascita del primo figlio, ha disegnato per sé un sogno: quello di portare le piccole/grandi aziende artigiane del nostro paese a New York. Così ha cercato in affitto un loft per tre anni promettendo ai proprietari di lasciarglielo arredato. Oggi questo loft esiste (http://design-apart.com/) è un moderno fondaco (Design-Apart) dove si esibiscono, come fosse una casa, e si vendono produzioni d’arredamento e complementi di alta qualità che hanno le loro radici ancora una volta nella grande provincia italiana: da Hermes Ponti, falegnami, in Mantova fino alla Brianza di Berto Salotti.Il terzo esempio viene da San Francisco, dove sono andato in Giugno con la Fondazione Bassetti (http://www.fondazionebassetti.org/) a promuovere un confronto tra la Lombardia e la Bay area. Il magico titolo di questa era: “Innovating with Beauty”.
Nell’anno della cultura italiana negli Stati Uniti, Piero Bassetti ha deciso, con grande coraggio, di portare gli artigiani del nostro paese (Confartigianato) e le imprese del design (Flos) a confrontarsi nella tana del leone e delle tecnologie con i nuovi makers americani. Una lunga e proficua settimana di incontri e dibattiti che mi hanno fatto vivere molte straordinarie esperienze e a lungo discutere con Roberto Scaccia, il fondatore di Zanoby. Antropologo giramondo, Roberto ha fondato a San Francisco con soci giapponesi una piattaforma digitale per portare le nostre produzioni artigiane nel mondo.
Il Made in Italy deve affrontare questa nuova prova: artigianato, piccole produzioni di qualità, prodotti fatti ad arte (si consideri che ci sono in Italia più o meno 65 distretti dove si produce ceramica) debbono imparare come presentarsi al mondo. Molte piattaforme stanno lavorando a questo scopo, non siamo più nella fase in cui Yoox, la grande piattaforma italiana della moda, poteva nascere quasi indisturbata perché nessuno credeva alla possibilità di vendere oggetti affettivi attraverso la rete.
Anche nelle piattaforme, esattamente come nel prodotto, le parole chiave sono: cultura, passione e qualità del prodotto. Zanoby ha molte di queste caratteristiche non vende solo il prodotto ma vende le emozioni, la cultura, il talento e il paesaggio che hanno consentito al prodotto di esistere e di dispiegare la sua bellezza, dicono nel loro sito: mettiamo una faccia prima della marca ed è l’anima che ci introduce al prodotto. Un appartamento di amici a New York, una tavola apparecchiata, un sito e-commerce che è anche un movimento culturale: gli araldi del nuovo che avanza.
Giovanni Lanzone