Un’esperienza “esemplare”
La Casa della Memoria di Brescia è una realtà associativa nata, a sua volta, dall’Associazione tra i familiari dei caduti della strage di Piazza della Loggia, Brescia, del 28 maggio 1974 con la partecipazione del Comune e della Provincia di Brescia. La Casa della Memoria si propone – così si legge nello statuto – quale “centro di iniziativa e documentazione sulla strage di Piazza della Loggia e sulla strategia della tensione”.
All’origine vi è un tragico antefatto: la morte violenta di Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Vittorio Zambarda, e il ferimento di molti altri.Basterebbero queste poche informazioni a destare l’interesse.
Ma vi è di più, perché la Casa della Memoria di Brescia è unica nel suo genere: non si tratta, infatti, – non solo, almeno – di un’associazione di persone colpite da comportamenti criminosi di rara gravità, né di una forma di auto- o mutuo-aiuto nella sventura: l’esperienza della Casa della Memoria si situa al crocevia di alcuni tra i temi “costituenti” (e quindi “generativi”) di ogni società – memoria, convivenza, giustizia, democrazia –, temi rispetto ai quali essa ha finito per essere un cuore pulsante di pensiero “nuovo”, un polmone ossigenante di educazione, la scaturigine vitale di un’esperienza di giustizia e di democrazia senza pari. Insomma: un esempio.
Accanto a una permanente – e meritoria – attività di rigorosa ricerca, documentazione, catalogazione e archiviazione di atti processuali, materiali, fotografie, scritti inerenti alla strage bresciana e, più in generale, all’eversione e alla lotta armata specialmente di matrice stragista, la Casa della Memoria si offre con la ricchezza delle sue pregevoli e numerose iniziative (convegni, seminari di studio, presentazioni di libri e film, mostre, lezioni nelle scuole, pubblicazioni, e molto altro) come agorà: luogo aperto di riflessione, incontro e dialogo con tutti; luogo che si sporge, accogliente, verso la cittadinanza e si protende, attento e premuroso, verso le nuove generazioni.
Il tratto significante di questo straordinario ente non risiede soltanto in ciò che “fa”, bensì nel “come” e “chi” lo fa.
Non è secondario – è, anzi, decisivo – che simile sporgimento, simile “invitante” apertura a pensare, discutere e incontrarsi, provenga da vittime (dai sopravvissuti alla strage e dai familiari dei caduti): da persone, cioè, che più di altre meriterebbero la nostra comprensione ove fossero diffidenti, anziché accoglienti, poiché sono state tradite nella fiducia e nella sicurezza; ove fossero chiuse, anziché ospitali, poiché sono state violate nella loro incolumità fisica e nella loro integrità personale, affettiva, familiare, sociale; se fossero ostili, anziché dialogiche, poiché hanno conosciuto sulla loro pelle e nella loro vita gli effetti dell’inimicizia estrema e della costruzione del nemico.
Che proprio delle vittime si spendano, nonostante quel che è accaduto loro, nella costruzione di una memoria “non commemorativa”, di una fiducia salda nelle istituzioni e nella democrazia, di un dialogo volto a riannodare la coesione sociale, di un futuro fresco e possibile per le giovani generazioni, è cosa inattesa (e qualcuno la trova persino “scandalosa”), in un mondo che abitua a reagire in ben altri modi all’ingiustizia e alla violenza.
Ogni iniziativa della Casa della Memoria si colora quindi di un “di più” specifico: l’intensità della testimonianza delle persone che la animano; o, in altre parole, la “forza del loro esempio” (per riprendere il titolo del bellissimo libro di Alessandro Ferrara, così pertinente a queste note[1]).
Una testimonianza di apertura, ospitalità, disponibilità a dare la parola e ascoltarla (anche quando è fastidiosa, scomoda e contraria) si sprigiona da questo luogo peculiare.La Casa della Memoria rovescia così ogni scontata prospettiva sul mondo e illumina di complessità la complessità, in strenua e continua ricerca dei fili che ci accomunano, uniscono e rendono simili, il che esige l’ardire del più onesto e rigoroso rispetto delle nostre diversità e richiede il coraggio di una coerenza che non ammette eccezioni.
La Casa della Memoria – o meglio: i suoi mirabili abitanti, appoggiati dalle istituzioni locali e dalla cittadinanza – testimonia qualcosa di paradossale che si insinua in noi come un benefico dubbio, un pungolo che ci cattura, ci scuote e fa meditare. Essa ci sorprende e al contempo ci persuade «in virtù della congruenza singolare ed eccezionale che … realizza e palesa fra il piano della realtà e il piano della normatività»[2]. E’ di esempio.
E’ forse utile tenere a mente anche il tema, la cifra, del paradosso che immette nell’esperienza una novità perturbante che ci tocca, ci impedisce l’indifferenza, e lavora in noi divenendo convincente per la sua inusuale coerenza e per la sua ferrea franchezza.
La Casa della Memoria si offre a noi in una paradossalità simile a quella delle Beatitudini evangeliche.Il tema della franchezza richiama la parresia che, con Michel Foucault, può essere definita «una specie di attività verbale in cui il parlante ha uno specifico rapporto con la verità attraverso la franchezza, una certa relazione con la propria vita attraverso il pericolo, un certo tipo di relazione con se stesso e con gli altri attraverso la critica, e uno specifico rapporto con la legge morale attraverso la libertà e il dovere. Più precisamente, la parresia è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio»[3].
La Casa della Memoria costituisce un’inedita operazione di parresia: i protagonisti della Casa, con le loro ferite e la loro domanda di giustizia, “dicono”, attraverso lo stile dialogico e le proposte che li contraddistinguono; e “dicono” con straordinaria franchezza di ciò che sentono fino in fondo essere vero: “parlano” di un bisogno umano, civile, sociale che insieme li riguarda direttamente e li trascende. In tal modo, essi diventano – come insegnano gli stessi studi sulla parresia – una “pietra di paragone”, un “vaglio”, al cui cospetto sfumano banalità e superficialità, le abitudini passive sono scosse, e un esigente richiamo a misurarsi con la propria franchezza, con la propria coerenza, con la propria onestà intellettuale, muove a un impegno mai visto prima.
Un’esperienza “costituzionale” di democrazia
Chiunque avvicina la Casa della Memoria e fa conoscenza dei suoi fondatori si accorge ben presto di aver di fronte l’incarnazione, insieme emblematica e innovativa, del lucido e saggio programma delineato dagli artt. 2, 3 e 4 della Carta costituzionale.
La Casa della Memoria rappresenta “tipicamente” una di quelle “formazioni sociali ove si svolge la personalità” dell’essere umano e in cui si esprimono i “diritti inviolabili dell’Uomo”, declinati in modo solidaristico e non egoistico alla luce dell’“adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Questa forma tangibile dell’art. 2 Cost. – una realtà associativa, partecipata dalle istituzioni, che si è assunta compiti educativi e civici – ne esalta il significato “costituente” per via del punto di partenza di tutta la storia: una strage con finalità eversiva che uccide otto persone e ne ferisce altre; un’associazione di familiari di persone uccise. “Diritti umani”, “personalità”, “solidarietà”, “formazione sociale” risuonano qui con timbri assai particolari: questi concetti-chiave vengono smontati di ogni possibile retorica, denudati di ogni formalismo, e lasciati emergere nella loro cruciale rilevanza per una società. Diventano, in qualche modo, più “vivi” nella concretezza di un’esperienza tanto vera quanto singolare.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”: così, notoriamente, recita l’art. 3 Cost. Alla Casa della Memoria il principio più conosciuto – e tradito – della Costituzione italiana viene preso alla lettera; così, ancora una volta, un caposaldo giuridico è nutrito di densa sostanza di vita: il riconoscimento della pari dignità vale davvero nei confronti di tutti – ne sono convinti i familiari delle vittime che operano alla Casa della Memoria: dai giovani di tutte le nazionalità incontrati nelle scuole di ogni ordine e grado (e in qualche caso addirittura coinvolti nelle iniziative della Presidenza della Repubblica per il Giorno della Memoria), agli scomodi contestatori di qualche fazione più agguerrita avvicinati in alcune delle infinite iniziative “a ingresso libero” organizzate dalla Casa della Memoria.
Dalle finestre di questa Casa speciale, si guarda persino ai colpevoli – ancora senza nome, nonostante i quasi quant’anni trascorsi – a partire dalla comune, piena, dignità che i responsabili hanno evidentemente nascosto a se stessi e le vittime riescono invece a intravedere ancora, anche nei loro volti senza identità e oltre i fatti atroci che hanno commesso.
Un’esperienza innovativa di giustiziaLa giustizia “resa” dalla Casa della Memoria parte dalle vittime.E non potrebbe essere altrimenti, posto che nel caso di specie gli autori del fatto sono ancora sconosciuti. La singolarissima forma di giustizia “attivata” dalla Casa della Memoria parte, dunque, dalle vittime ma raggiunge la società (e si rivolge alla società), pur in costante e rispettosa attesa che i colpevoli – più che scoperti e puniti – siano chiamati alla responsabilizzazione e si facciano dunque “parresiasticamente” avanti, disposti a raccogliere l’angoscioso invito delle vittime a entrare in una sofferta relazione di verità e responsabilità che apre cammini insperati di liberazione.Nel caso bresciano, la giustizia istituzionale formalizzata ha impegnato vittime e familiari dei caduti in innumerevoli procedimenti penali, senza pervenire a una completa ricostruzione dei fatti e all’accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio” delle responsabilità individuali dei singoli imputati.Le persone offese, le quali si son quindi trovate nella condizione di “dover fare da sole”, non hanno scelto la via più “tradizionale” della rivendicazione di forme necessarie di assistenza (una via che rischia talvolta – sia detto con il massimo rispetto – una certa autoreferenzialità), bensì hanno offerto l’ennesimo insegnamento esemplare: con vivida concretezza, hanno mostrato quanto sia vero e reale ciò che affermano le norme internazionali a favore delle vittime, secondo cui «una persona dovrebbe essere considerata vittima indipendentemente dal fatto che l'autore del reato sia identificato, catturato, perseguito o condannato»[4]. Il sistema penale prescinde quasi completamente da simile drammatica, eppur realistica, constatazione: essendo ancora oggi centrata su un modello repressivo e retributivo, la giustizia penale persiste nell’essere reo-centrica e finisce così per far coincidere il suo importante compito sociale e civico con la punizione del reo, con l’effetto che ove quest’ultimo non sia scoperto (o sia deceduto), non vi è (più) niente da fare, neppure a sostegno delle vittime. Si tratta di una tragica, violenta, semplificazione.La Casa della Memoria ha congegnato un modo particolarissimo di occuparsi della giustizia nella società, accanto alla presenza composta e dignitosa nei procedimenti giudiziari. Ha pensato, con l’incoraggiamento delle locali istituzioni, che le vittime, cioè uno dei versanti del reato, potessero e dovessero diventare una risorsa costruttiva per la convivenza civile. La Casa della Memoria ha così “generato” un “fare giustizia” al di là della punizione del reo, nello spendersi quotidiano in favore della ricerca della verità, dello stimolo alla capacità critica, del dialogo, del rispetto e dell’ascolto dell’avversario. A scuola, in città, nelle istituzioni, la Casa della Memoria si impegnata in una ricca serie di attività che, con parresia, si collocano agli antipodi dell’esperienza violenta e prevaricatrice dell’illecito penale.Se troppo spesso, e a fortiori in un sistema sanzionatorio antiquato e punitivo quale quello vigente, la giustizia penale finisce per essere aggressiva e assomigliare proprio a ciò che vuole combattere, la Casa della Memoria riesce ogni giorno a ricordarci che giustizia è prima di tutto sancire con l’incisività della coerenza e della mitezza l’opposto di ciò che, di negativo, il reato intendeva affermare.La giustizia si rivela dunque un itinerario, un cammino complesso, che ha bisogno della verità e della partecipazione di tutti gli attori (compresi i colpevoli), in modo da riuscire – insieme – a declinare in termini “attivi” anche la memoria di quanto avvenuto. Una giustizia-itinerario, in dialogo con tutti, nutre forme di memoria non “commemorativa”, che guardano avanti e non indietro, uniscono e non dividono, e infine coinvolgono in uno sguardo rivolto al futuro in cui i morti sono “vivi” non solo nel ricordo dei loro cari o nelle pagine della Storia, ma nella esistenza operosa di un’intera comunità che non li dimentica, perché li fa propri e restituisce loro l’individualità irripetibile di un nome ri-conosciuto.Con il suo silenzioso impegno a vantaggio di una democrazia “presa sul serio”, la Casa della Memoria di Brescia ha dato vita informalmente a un’esperienza di “giustizia riparativa”[5] assai peculiare e, per verti versi, senza precedenti.Mancano ancora all’appello, però, i primi e più importanti interlocutori delle persone offese nella cornice di una giustizia che costruisce (e non punisce) nella verità e nella responsabilità. L’auspicio è che le istituzioni e la società, che godono dell’opera preziosa della Casa della Memoria, sappiano ricambiarla, dando vita al più presto alle condizioni in grado di favorire che tali interlocutori si lascino toccare dalla forza persuasiva e liberante dell’esempio e della parresia di queste vittime e accedano anche loro alla “beatitudine” di questo incontro, alla “beatitudine” di questa giustizia. Claudia Mazzucato [1] A. Ferrara, La forza dell’esempio. Il paradigma del giudizio, Milano, 2008.[2] Ferrara, La forza dell’esempio, p. 18.[3] M. Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, trad. it. (ed edizione italiana) a cura di A. Galeotti, con introduzione di R. Bodei, Roma 2005² p. 9 (corsivi nostri).[4] Così, da ultimo, Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI; di identico tenore, anche la Recommendation Rec(2006)8 of the Committee of Ministers to member states on assistance to crime victims (§ 2.3).[5] Definita, nella già citata Direttiva 2012/29/UE, come «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale». Cfr. più ampiamente: United Nations, Economic and Social Council, Basic Principles on the Use of Restorative Justice programmes in Criminal Matters, Resolution n. 12/2002.