Da Modena a Cambridge passando per la Silicon Valley.
Mentre studia all’università si dedica anche al volontariato con la Croce Rossa. Questa esperienza – che lo porterà a scegliere la specializzazione in anestesia e rianimazione – lo pone di fronte a un problema ancora senza soluzione: il danno cerebrale acuto derivante da ictus, arresto cardiaco e trauma cranico lascia ancora tanti pazienti gravemente menomati nelle loro funzioni. Il problema è globale: ogni 7 secondi 1 persona nel mondo ne è colpita. Si tratta di uno delle maggiori difficoltà della medicina di emergenza. Poiché ciò che si perde non può più essere rigenerato è necessario intervenire il prima possibile per rallentare questa inesorabile perdita di neuroni.
I costi sociali ed economici sono elevatissimi. Si stima un costo di 330 miliardi di dollari ogni anno per la cura di questi pazienti, senza contare gli oneri derivanti dal fatto che, come molti studi dimostrano, uno dei familiari lascia o riduce il lavoro per accudire la persona inferma.
Nel 2012, dopo la specializzazione, Enrico riceve un assegno di ricerca presso l’Università di Modena. La data di inizio dell’incarico è il 21 maggio, ma il giorno prima l’area è sconvolta dal terremoto. I danni sono ingenti. Anche Modena è colpita e per Enrico la prospettiva di lavoro diviene meno certa. In un momento di maggiore incertezza c’è stato lo spazio per idee nuove.
L’attenzione al bisogno di trovare una soluzione al danno celebrale lo porta a ragionare su come intervenire immediatamente, già sull’ambulanza.
L’intuizione di Enrico è quella di portare una terapia nota – l’ipotermia già utilizzata in ambito ospedaliero – fuori dall’ospedale, anticipandone l’applicazione con grandi vantaggi per le persone e l’intero sistema sanitario.
Enrico incomincia a lavorare a questa soluzione. Una serie di incontri lo spingono ad addentrarsi in un territorio sconosciuto: dapprima deposita una domanda di brevetto, quindi presenta la sua idea ad un fondo di investimento che ne intravede le potenzialità in termini commerciali e inserisce Enrico in un programma di accelerazione. E’ qui che incontra Mary Franzese, una laurea in economia e un master in Bocconi, che diventerà la sua futura socia.
La strada si snoda lungo percorsi inaspettati ma Enrico è deciso: lascia il posto in ospedale per diventare imprenditore. Nasce Neuronguard Srl. Con l’aiuto di un incubatore modenese i due soci trovano sede in un container lasciato vuoto dal terremoto. La svolta arriva con il premio Intel Global Challange e i due volano in Silicon Valley.
La forte valenza sanitaria e sociale del prodotto e una grande capacità di comunicare la propria passione convince i social. La storia di Neuron Guard viaggia veloce sul web. Del resto, il loro prodotto fa parte della costellazione dell’internet of things: il risultato finale è stato ideato come un dispositivo dialogante con una piattaforma di raccolta dati, che a partire dalla sua installazione al collo del paziente fino alla fine della terapia, monitora il decorso clinico facilitando e rendendo efficiente il trattamento.
La strada è ancora molto ardua ma qualcosa si muove. Con l’aiuto di un’impresa locale i primi prototipi vengono migliorati. Arriva un finanziamento dalla Regione. Enrico e Mary investono personalmente nella start up. Il brevetto è depositato in 13 paesi. Vengono testati 3 prototipi i cui risultati sono pubblicati in una rivista scientifica internazionale.
Si apre la possibilità di una sperimentazione sugli esseri umani. La disponibilità arriva dall’Università di Cambridge interessata al dispositivo e viene identificato un partner inglese che si occuperà dello sviluppo del prodotto.
L’ingresso sul mercato è previsto nel 2018, si attendono ora passi di altri investitori ma l’idea convince e l’obiettivo ambizioso – riuscire a diffondere il collare refrigerante non solo su ogni ambulanza ma in ogni locale pubblico, così da arrivare a tutti, il prima possibile – appassiona.