Social Street di Via Fondazza

Cose che non si possono comprare

Social Street di Via Fondazza è un’esperienza nata nel settembre 2013, a Bologna, con la creazione di un gruppo Facebook a cui aderiscono i residenti della strada con l’obiettivo di instaurare tra loro nuove relazioni, stimolare la reciproca conoscenza e attivare microsolidarietà. Da questa prima Social Street ne sono nate altre circa 300 in Italia e nel mondo, dal Portogallo alla Nuova Zelanda.

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Social Street di Via Fondazza

Associazione

Bologna

www.socialstreet.it

Social Street di Via Fondazza | Cose che non si possono comprare

Gli scambi online sono la premessa per la rivitalizzazione di una socialità di strada che porta le persone ad incontrarsi e stare insieme, aiutarsi reciprocamente, condividere passioni e interessi. Tutto a costo zero.

C’è una vasta letteratura sulla Social Innovation ma per coglierne il cuore è sufficiente riandare a quell’esperienza di rigenerazione urbana che è la Social Street. C’è un’idea percepita come nuova. Ci sono nuove relazioni e nuove reti di collaborazione. Ci sono nuove pratiche sociali e un aumentato potere di agire delle persone e dei gruppi. L’essenza di una Social Street sta tutta nella capacità di riattivare una cosa antica ma ormai rara nella città contemporanea, la socialità di luogo: una strada viene nuovamente innervata e riattivata da relazioni fattive di buon vicinato e da pratiche di informale solidarietà e mutuo aiuto. Ma attenzione, si tratta di un’intuizione solo apparentemente semplice che richiede uno sguardo non banale.

Da dove nasce l'idea

Un nuovo concetto di società: da dividi et impera a connetti, supporta e condividi. La rete è un medium per un “di più” di vita, di socialità che rivitalizza via Fondazza, ma è un medium necessario in una realtà urbana complessa che ha visto atrofizzarsi molte delle sue competenze sociali.

L’esperienza di via Fondazza prende avvio quando Federico Bastiani, papà di un bimbo di pochi anni, incomincia a preoccuparsi per la scarsità di relazioni di vicinato da offrire a suo figlio. Quali altri bambini frequentare? Con chi farlo crescere? Conoscitore attento delle potenzialità connettive della rete, Federico attiva un gruppo sui social network che con sua stessa sorpresa innesca un movimento di quartiere che contagia velocemente l’Italia e il mondo. Le relazioni online sono infatti l’innesco di ciò che avverrà offline, sotto i portici, nelle piazzette. La gente incomincia a lanciare proposte e a ricevere risposte in rete. Poi le persone si incontrano; le conoscenze si approfondiscono; si scoprono interessi da condividere; si mettono a disposizione conoscenze e professionalità. Si osa chiedere aiuto e invitare a casa i propri vicini. Ci si fida.

“Dal pensionato, allo studente, al single, alla famiglia, stiamo ricreando queste reti sociali dove l'appartenenza al territorio è fondamentale. Bisogna dare un esempio di quello che è possibile fare per la socialità a costo zero.”

Luigi Nardacchione, Co-fondatore Social Street

La Storia

Un luogo a cui appartenere e nel quale generare, crescere e lasciarsi andare aprendosi a nuovi legami e orizzonti.

Intanto il clima del quartiere cambia. Federico, sorridendo, spiega questa esperienza con un’immagine emblematica: il tempo – non più frettoloso e indifferente – impiegato per scendere a comprare un paio di cose nel negozio sotto casa. Prima non incrociavi nessuno ed eri nessuno. Ora incroci tanti vicini e sei riconosciuto. Sei parte di qualcosa.

Luigi Nardacchione, co-fondatore di Social Street, più seriamente la descrive come un profondo cambio di prospettiva sul mondo: ciò che si recupera è la priorità delle persone sulle cose, delle relazioni sul possesso.

Ci hanno fatto credere che con i soldi si possa risolvere tutto, racconta. Di fatto, circondarsi di cose non riesce a sconfiggere una solitudine che può essere davvero profonda proprio nella città. 

Così prossimi fisicamente, eppure così lontani affettivamente: questa è la condizione della città contemporanea, così che, in un ribaltamento paradossale, l’altro – mai divenuto “prossimo” – è sempre troppo vicino e ci fa paura. 

Le appartenenze multiple, spesso conflittuali, trovano respiro in un piccolo ancoraggio di luogo. C’è il mondo globale, ma anche via Fondazza. L’esperienza bolognese è la prima di una serie numerosa di Social Street che con sorprendente rapidità si vanno diffondendo in Italia e nel mondo. Ogni esperienza, se connessa alle altre, mantiene però una propria autonomia e sarà interessante osservare come si articolerà questo strano movimento.

Gli ingredienti di questo successo sono semplici: la gratuità dell’esperienza, la sua leggerezza strutturale, l’accessibilità e la flessibilità, la libertà di scegliere fino a che punto implicarsi, le maglie larghe di un’appartenenza che ci concentra su ciò che si condivide – a partire da uno stesso spazio urbano – per lasciar fuori ciò che tende a dividere e segmentare – come l’appartenenza politica o l’etnia. 

Ma è evidente che l’interesse suscitato da Social Street dipende soprattutto dal profondo desiderio di socialità e di prossimità che attraversa le nostre città. Social Street si apre come uno spazio “altro”, “non mercato”, ma anche “non stato”. L’iniziativa di via Fondazza è divenuta oggetto dell’interesse istituzionale e perfino di soggetti di natura politica. Con grande rigore i testimonial dell’esperienza bolognese hanno messo a disposizione gratuitamente competenze e risorse in collaborazioni fattive dalle ricadute benefiche sulla città, senza però vincolarsi in accordi che prevedevano scambi economici o dichiarazioni di appartenenza.

In questo senso, Social Street si configura come ricerca di un nuovo equilibrio e una nuova libertà di relazione tra individui e istituzioni. Per il momento il gruppo di via Fondazza ha scelto di non costituirsi in associazione. Non possiede una sede legale. Non accede a fondi strutturali. Non svolge servizi pubblici. Poi si vedrà. Per il momento rimane “povera”, snella, flessibile e sfugge l’istituzionalizzazione.

Gli aspetti generativi

L’esperienza apre lo spazio a gesti capaci di produrre un benessere difficilmente replicabile all’interno di dinamiche puramente economiche: quanto costa la certezza che qualcuno ti darà una mano nel caso di bisogno? Qual è il prezzo per avere accanto persone di cui ti fidi e con i quali condividere tempo e interessi, preoccupazioni e desideri? Con cui far crescere i tuoi figli?

Attorno a questo nodo è possibile che possano sorgere tensioni e contraddizioni. Come crescere mantenendosi “piccoli”? Optare per la qualità o la quantità? Questa esperienza è per noi generativa perché sta dimostrando di essere una formula aggregativa, inclusiva, collaborativa e contributiva: possiede una grande capacità di contagio, adattandosi a sempre nuovi contesti e panorami e dunque moltiplicando ovunque relazioni, solidarietà, fiducia, valore. Inoltre, la Social Street è generativa perché, mettendo tra parentesi le dinamiche economiche e ponendo al centro la gratuità, ci conferma che è possibile creare valore anche fuori dal mercato.

Social Street ci ricorda che i legami sono una ricchezza, anzi, “la” ricchezza, in un tempo che li trasforma in impedimento alla nostra libertà. I legami non “legano”. Al contrario, “liberano” la nostra libertà, rendendoci liberi di appartenere. Insieme ad altri si possono fare più cose. Ma non è solo una questione prestazionale. Insieme ad altri – e l’esperienza bolognese con grande lucidità ce lo restituisce - si possono fare cose in un modo qualitativamente diverso, più gioioso, piacevole, pieno, umano.
Ed è per tutto questo che la qualità della vita s’impenna in una Social Street, lasciando di stucco gli appassionati del PIL.

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