Cosa provano i giovani in questo periodo così complicato? Quali sentimenti abitano in loro dopo anni di recessione economica, crisi culturale e disgregazione sociale? Paura, sfiducia, rassegnazione o anche coraggio, speranza, gioia?
E come stanno vivendo questo momento di seconda fase della pandemia? Una grande opportunità o l’ennesima situazione che li metterà ancora più in crisi?

Il 5 novembre dello scorso anno c’è stata la prima tappa di questo viaggio nei sentimenti dei giovani, in compagnia di Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo junghiano, e Chiara Giaccardi, sociologa e coautrice, insieme al sociologo Mauro Magatti, del libro “Nella fine l’inizio. In che modo vivremo”. Una densa analisi sul modo in cui le future generazioni potrebbero prendere in mano il proprio destino per modellarlo con possibilità creative e immaginazione. Stefano Carpani, psicologo junghiano, modera il dialogo fra i due panelisti, ponendo delle domande significative per il raggiungimento di consapevolezze collettive.
Il webinar (qui disponibile sul canale YouTube) gratuito “Sognare con le mani – I giovani e un nuovo inizio possibile” promosso dal progetto de “La Prossima Generazione”, apre questo ciclo di conversazioni generative. Sono momenti di riflessione, di incontro tra prospettive generazionali. Il tema centrale affrontato nel primo webinar verte sui sentimenti che provano i giovani nel momento inatteso di una pandemia; per uscirne, non negando ma superando consapevolmente le difficoltà, servono responsabilità personale e nuovi desideri di impegno comune, dal momento che nessuno può e potrà farcela da solo. Ci troviamo chiamati a contribuire in modo originale per dare avvio a una grande rigenerazione sociale, economica e culturale del nostro Paese.

Per rispondere alle sensazioni di paura, sfiducia e disgregazione sociale, Luigi Zoja si rifà al fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud: dopo un secolo dal suo lavoro si riscontra una nuova massa di problemi sessuali legati al tema dell’identità maschile come la più colpita dai cambiamenti, prepotente in una cultura sistemicamente (e innegabilmente) patriarcale. Oltre l’aspetto clinico individuale, questa si nota studiando le immagini di riferimento nella fotografia e nel caricamento di contenuti social. La cultura visiva in cui siamo costantemente ingaggiati in un periodo di negazione del “contatto umano”, fa saltare all’occhio alcuni riferimenti: oggi ogni bambino, ogni adolescente cresce ricevendo migliaia di immagini, e la maggior parte di esse sono proposte come immagini ideali. Luigi Zoja dichiara che su questo punto sia necessario fare un certo lavoro di consapevolezza: i nuovi mezzi di comunicazione che veicolano tutte le relazioni, e la difficoltà di trovare dei riferimenti ideali, comportano delle difficoltà sessuali di tipo nuovo. In questi anni sta arrivando alla maturità sessuale la prima generazione che ha avuto a disposizione fin da subito il porno. Questo aspetto è accompagnato da recenti dati che dimostrano come negli USA, tra il 2018 e il 2019, l’attività eterosessuale tra i giovani ragazzi sia calata del 30%: la donna reale non subisce la stessa sottomissione della donna pornografica e, quindi, con già un ritiro sociale in generale, c’è soprattutto il ritiro erotico maschile che “vuole pretendendo di più”.
Per cui, sia la “patologia” del ritiro sociale, sia la pandemia con i suoi obblighi completamente diversi, sono un’inconscia ricerca di qualcosa che stiamo perdendo: l’esclusione dei giovani dal dialogo rischia più introversione, senza poter rendere ragione, senza educare al modo in cui i legami si costruiscano realmente.

Chiara Giaccardi risponde alle inquietudini degli adolescenti citando una frase di Hannah Arendt: “Anche nei momenti più bui abbiamo il diritto di aspettarci qualche illuminazione”. Sottolinea il momento buio dei giovani come coloro che fanno più le spese del loro futuro; come gli unici ad avere la forza e la determinazione di brillare di luce propria, senza l’aiuto consistente delle generazioni precedenti. Vengono chiamati “generazione COVID”, spartiacque tra quello che è accaduto prima della pandemia e quello che avverrà dopo. Qualcuno li chiama anche “generazione Thunberg” per mettere in evidenza la presenza delle rinunce, per quanto quest’ultime tendano al bene della collettività. Manifestano le loro energie nell’attenzione all’ambiente, nel mondo e nelle persone legate tra loro. Altri ancora parlano di “generazione George Floyd”, per le diseguaglianze che generano violenza da parte degli adulti. Tutte queste etichette rappresentano una critica in continua rielaborazione dei valori a un mondo basato sul consumo e sulla dilagante disuguaglianza. In questo contesto, il compito degli adulti è conoscere e coltivare questa spinta che proviene dai giovani. La prof.ssa Giaccardi prevede fiduciosa l’improrogabile arrivo di un’alleanza intergenerazionale per poter compiere quest’azione fondamentale di riconoscimento nei confronti dei giovani. Qualcuno la chiama “capaticizzazione”: quella capacità di scrivere pagine nuove che non possono essere una diretta e statica conseguenza di quello che gli altri prima di noi hanno fatto fino a questo momento. Non c’è futuro senza la partecipazione della nuova generazione. “Sognare con le mani” ci dice proprio che i sogni e il lavorare, il costruire, l’impastare, lo scrivere, l’abbracciare sono tutte dimensioni che vanno insieme: ci devono essere sogni che trovino lo spazio vitale di sbocciare in concretezze.

Stefano Carpani interviene promuovendo come nella società, molto spesso, si assista a uno scontro tra successo e soddisfazione. Proprio a questo proposito ricorda la sua generazione che ha puntato tutto sul successo ma che poi ha scoperto il fallimento. Dall’esperienza del riscatto bisognerebbe imparare a essere soddisfatti, e soprattutto a educare alla soddisfazione chi è nel momento della propria realizzazione personale. Ricorda, nel suo intervento, una frase abusata: “Date una luce alle persone e troveranno una loro strada”. Ma se le persone non riescono a trovarla? Quali saranno le red flags per orientare i giovani al futuro?

Le parole “successo” e “soddisfazione” risultano obsolete all’orecchio della prof.ssa Giaccardi. I giovani non cercano né il successo né la soddisfazione, ma desiderano una speranza di pienezza che in realtà non vede mai realizzazione, ed è questa la spinta propulsiva che consente di non smettere mai di cercarla. L’insegnamento che gli adulti possono dare ai giovani è quello di motivare il desiderio di una vita ricca di senso, senza possibilità di spegnimento d’entusiasmo. Siamo noi adulti, aggiunge la sociologa, a dover imparare ad ascoltare i nuovi bisogni senza collegarli a quelli che riconoscevamo come “successo” e “soddisfazione”.
A questo proposito, il tema del lavoro assume una grande rilevanza: c’è il bisogno della ricerca di un lavoro retribuito che sia carico di senso per la persona che lo svolge, e che produca un sapere per gli altri. Se si vuole che questa rigenerazione venga compiuta, c’è il bisogno che gli adulti abbiano la capacità di lasciar andare qualcosa. E questo, ammettendo con sincerità il presente, raramente avviene.

Secondo il dott. Zoja, l’asticella della parola “soddisfazione” si abbassa sempre di più con le nuove generazioni. Vengono spinte ad accontentarsi facendo sì che nell’inconscio si accumulino repressione e reazioni isteriche. Questa rassegnazione-in-partenza porta ad accontentarsi di una tecnologia che provoca solo la nostra superficie esterna e, quindi, di un accontentarsi sempre più della mancanza di profondità. I bambini di oggi sono più agili con il digitale, e perdono così la profondità del gioco, se non attraverso quella “disfunzione bidimensionale del ruolo”, afferma testualmente Zoja. Nel gioco fisico c’è una maggiore percezione del dinamismo per il forte coinvolgimento dei sensi, e del rispetto del giocatore e della stessa partita. Tutto ciò avviene anche nella sperimentazione della sessualità: la bidimensionalità pornografica appiattisce l’umanità, spogliandoci di percezioni vere, concrete.
Si mette in risalto quello che si ricava dagli studi: una crescita negli ultimi 25 anni delle prestazioni scolastiche femminili in tutti i Paesi dell’OCSE; una forbice che continua ad allargarsi anche perché nelle ragazze è vivo l’impersonale quanto limitante modello della “brava ragazza che studia” e che riesce a raggiungere il successo socialmente inteso. Nei maschi, invece, è ancora presente la “sindrome di Lucignolo”, dove il compagno più bullo affascina e soggioga tutti gli altri.

All’attenzione della sociologa Giaccardi sono proprio le donne a subire un’ansia sociale incomparabile. La generazione Z, d’altro canto, è molto più emancipata e sicura dei traguardi e dell’equità sociale raggiunte, nonostante il forte gender gap diffuso nell’accesso alle professioni.
In riferimento al tema del porno, la sociologa aggiunge che è più un’adesione all’oggetto sessuale e non una forma di liberazione: nelle giovani donne occidentali c’è un atteggiamento più poetico, più libero nelle loro espressioni, dimostrato anche dal fatto che sui social network, uno fra tutti Facebook, compaiono circa 56 definizioni di genere. Ciò fa emergere l’importanza del tema dell’identità sociale che mette in luce come nelle nuove generazioni ci sia una maggiore immunità dall’eteronormatività. L’accessibilità a contenuti pornografici, se da un lato esclude la possibilità di creare dei legami reali, veri, dall’altro mostra come in realtà non sia davvero un limite alla ricerca nel giovane della propria identità di genere. Si nega l’appiattimento cercando sempre nuovi e personali ambienti dove non sentirsi stretti.

Stefano Carpani, sul finale del webinar, pone le ultime ma centrali domande: Perché è così difficile la profondità? Perché le persone si allontanano dalla profondità?

“Siamo abituati al bidimensionale che è più veloce”, afferma Luigi Zoja. “Nel PC si possono tenere milioni di informazioni e di immagini, ma questo non dà nessuna garanzia: tutto ha un limite, e questo è un dato di fatto. Prima ancora di un problema tecnologico è un problema psicologico, per cui si sostiene il bisogno di non avere un limite ai nostri voleri e ai nostri beni”.
Nell’ottica della prof.ssa Giaccardi, si deve rivedere l’idea di rischio come una particolare articolazione tra la vita e la morte. Gli adulti non hanno più allenato i loro figli al rischio inteso come “l’amare così tanto la vita senza avere paura di morire”. Si ha la necessità di mettere tutto in sicurezza, perché si ha paura di perdere qualcosa, e questo corrisponde esattamente al non vivere pienamente. “La morte è nostra compagna di viaggio”, dice, “e questo ci deve far vedere la vita in un altro modo. La pandemia è una grande occasione di profondità se si impara a non rimuovere la morte, per cui il limite non va annientato, ma trasceso. La morte è il nostro limite più grande e questo limite può aiutarci a riconquistare questa profondità”.

Questo primo webinar “Sognare con le mani” ha fornito una riflessione su come i giovani di oggi si sentono e cosa sperano di trovare nel prossimo futuro. Proprio perché fermi nell’attesa di un superamento dalla situazione pandemica, questo può essere un momento di forte riflessione finalizzato a intraprendere un percorso di rigenerazione sociale, economica e culturale del nostro Paese. Si potrà partire proprio dal dialogo con le nuove generazioni e dal rischio che non solo i giovani devono percepire, ma quello che le vecchie generazioni devono imparare ad affrontare per vivere insieme un nuovo inizio possibile.