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La memoria in comune

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La memoria è sospesa tra il ricordo, intimo e personale, e la storia, esteriore e generale. La memoria è sempre di un uomo, o di alcuni uomini tra loro in relazione diretta, che sono passati attraverso un accadimento memorabile.

Quando trasmessa, diventa fin da subito qualcosa di diverso: diventa testimonianza, e narrazione che si fa storia. Il versante soggettivo della memoria, essendo legato ad accadimenti vissuti direttamente, porta con sé le passioni che ha suscitato.

Quando queste passano attraverso un processo di rielaborazione, in virtù della ragione esercitata, possono dare luce a nuovi sguardi sulla realtà che del vissuto custodiscono ciò che ha insegnato, nel bene e nel male. La memoria è dunque un ingrediente essenziale della ragione; senza lo scarto generativo tra esperienza vissuta e rielaborazione nel ricordo, la ragione non può imporsi sulle passioni e, mitigandole, illuminarle e renderle generative di azioni nuove che realizzino una differenza positiva nella realtà.

La memoria che diventa storia, cioè la memoria storica di una comunità, è il suo secondo versante, oggettivo e generale. La sua costruzione e la sua custodia sono perciò ingredienti fondamentali per passare dalle slegature delle biografie individuali, private, al comune della vita in relazione, pubblica.

Come insegnano le scienze sociali, attente alle determinanti strutturali della vita sociale, ogni società istituisce cerimonie collettive, riti e celebrazioni per cementificare il sentimento di solidarietà degli uomini che vivono insieme, fondato su una memoria storica comune. Ma se dalle grandi e permanenti necessità che determinano l'agire dell'uomo passiamo a considerare le ragioni delle azioni, ciò che diventa importante è il contenuto di verità che riempie tali forme di celebrazione collettiva; ciò che davvero conta è il bene che esse custodiscono, ricordano e attualizzano.

Sarebbe forse meglio dire: ciò che davvero conta è che il contenuto di verità che le sottende sia valutato come vero da parte di coloro che vi partecipano; che esso sia pensato come un bene da custodire per la vita della comunità. Questo, e solo questo in ultima istanza, è ciò che rende possibile una memoria storica comune, capace di vivificare lo spirito di una comunità. L'Italia si vuole comunità politica, cioè insieme di uomini e donne, passati, presenti e futuri, che si riconoscono in un'identità comune e si danno una forma di governo basata su tale identità.

Questa identità non è fatta soltanto di tradizioni, di lingua, di usi, costumi, tratti fisici e caratteriali, ma anche e soprattutto di valori e principi comuni. Meglio: di un'idea di bene che il modo di organizzarsi politicamente rende possibile e custodisce. Anzi, si può dire che solo questo secondo elemento è ciò che rende una comunità davvero politica. Si è detto, a ragione, che una comunità politica è una proposta concreta di umanità per l'umanità. Un particolare concreto che prova a realizzare l'universale astratto. Se ciò è vero, se cioè il paese nel quale viviamo si vuole comunità politica, esso deve inevitabilmente fare i conti con la propria memoria storica.

Anzi, esso non è altro che la somma degli eventi della sua storia (decisioni degli uomini e donne del suo passato che hanno risposto agli accadimenti storici e agli eventi del loro tempo) che, trasmessi nella memoria collettiva, costituiscono il presente dell'identità comune. La custodia della memoria storica non è perciò una semplice operazione retorica, estetica o rituale; essa è il cuore pulsante del nostro organismo. Perciò se essa è custodita sanamente, avremo buone ragioni per sperare di poter prosperare, nel presente e nel futuro; se essa è malata, dobbiamo ragionevolmente temere che il nostro organismo con il tempo potrà consumarsi e avvizzire. Se non custodiremo la nostra memoria storica, le ragioni del nostro stare insieme diventeranno un ricordo del passato, perdendo la loro rilevanza nel presente.

E qui torniamo al punto della differenza tra la forma e la sostanza delle celebrazioni rituali della memoria. Per custodire sanamente la nostra memoria storica, dobbiamo saperla costruire in modo sano, cioè quanto più possibile corrispondente alla verità di quanto accaduto. Senza rimozioni forzate. Dobbiamo, illuminando con la luce della ragione le passioni che la memoria porta con sé, comprendere ciò che il passato dice di noi e discernere in esso ciò che di buono vi è stato per custodire e vivificare la nostra identità comune. Per parafrasare il saggio: quando il passato non rischiara più l’avvenire, lo spirito avanza nelle tenebre. Cesare Silla