Intervista alla dottoressa Laura Salvoni Da alcuni anni l’Atelier dell’Errore collabora con la Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. La responsabile del servizio è la dottoressa Laura Salvoni Come è iniziata questa collaborazione? Il lavoro dell’Atelier ci aveva molto interessati. Ci è piaciuta la proposta, diversa dalle più tradizionali attività di tipo espressivo e di comunicazione artistica già presenti nella storia della neuropsichiatria infantile.
Abbiamo così incominciato a ipotizzare una collaborazione con Luca Santiago Mora sebbene con modalità istituzionali diverse da Reggio Emilia – dove l’esperienza era maturata – a motivo della diversità dei sistemi regionali. Fin da subito ci è parsa un’integrazione valida al percorso clinico. Abbiamo voluto che anche ai ragazzi seguiti dal nostro servizio potessero accedere a questo spazio così particolare, collocato al di fuori della struttura ospedaliera.
Chi sono i ragazzi che frequentano l’Atelier dell’Errore?La proposta si rivolge a una fascia di età particolare: la pre-adolescenza, o l’adolescenza, e coinvolge ragazzo che spesso difficilmente trovano alternative di socializzazione. Il più delle volte questi ragazzi accedono a interventi terapeutici individuali ma non hanno possibilità di sperimentare attività di altro tipo, e soprattutto di gruppo. Il gruppo che lavora in Atelier è in effetti davvero eterogeneo.
Comprende ragazzi con patologie molto diverse che vanno dall’autismo all’insufficienza mentale, a disturbi del comportamento, a volte anche gravi. Anche con l’aiuto di Luca condividiamo quali pazienti potrebbero partecipare all’Atelier, creando delle premesse che possano favorire l’attività del gruppo, in modo che i pazienti tra loro possano funzionare bene.Cosa ha visto in questi anni nei ragazzi che partecipano all’atelier e nelle loro famiglie? Intanto c’è un grande interesse da parte delle famiglie. Ricordo che sono famiglie che hanno alle spalle un problema grande. Ce l’hanno da tanto tempo e sanno che si cronicizzerà. Queste famiglie però hanno sentito forte fin da subito il vantaggio per i loro ragazzi dalla partecipazione di questa proposta.
Un dato ci aiuta a capire: l’Atelier oggi ha sede a Bergamo Alta, presso il Museo di Storia Naturale, una collocazione bellissima, ma non è immediatamente accessibile. La sede si raggiunge solo con i mezzi pubblici e per qualcuno ciò significa prendere più mezzi, problemi, questi, che possono essere banali ma che lo diventano di meno quando si tratta di inserire la partecipazione all’Atelier nel quadro di un’attività familiare complessa proprio perché c’è un ragazzino disabile. Eppure, questo non è mai stato un ostacolo perché i genitori hanno avvertito subito la necessità di proseguirla. Gli stessi genitori ci rimandano gli aspetti positivi dell’esperienza. Le relazioni, ad esempio. Nonostante queste famiglie frequentino lo stesso centro riabilitativo, non è tanto abituale per loro incontrarsi anche al di fuori dell’attività terapeutica. Invece chi partecipa all’atelier riesce anche ad incontrarsi. E questo è per me una grossa apertura.
Qual è la specificità e il valore aggiunto che l’atelier porta al vostro intervento? La specificità è quella di consentire a ragazzi che hanno già vissuto esperienze di rifiuto e incontrato difficoltà di inserimento sociale di esprimersi veramente per quello che riescono ad essere. La possibilità di relazionarsi veramente attraverso l’espressione artistica.
Tenga presente che sono pazienti che a scuola hanno fatto fatica e stanno facendo fatica! Che nell’ambiente dei coetanei sono rifiutati o al meglio tollerati perché, per le loro stesse caratteristiche, fanno fatica ad inserirsi! Un altro punto è importante: in Atelier hanno trovato invece delle regole. Non si tratta di andare lì e fare delle cose. Si fa sul serio. E le regole poste da Luca sono davvero interessanti. Il non cancellare, ad esempio. Non si può eliminare dalla nostra vita il percorso sbagliato, il percorso complesso, quello che non ci piace. Cerchiamo invece di vederlo sotto una luce diversa! E’ questa la proposta. E i ragazzi hanno capito. Hanno capito di essere stati accettati. Certo, devono rispettare delle regole, possono però esprimere anche il loro sentimento, la loro realtà emotiva e riescono a trovare ciascuno per la sua parte una collocazione sociale.
E’ un passaggio molto significativo: non parliamo di un gruppo terapeutico, con tutta la valenza che può avere un gruppo terapeutico, ma ci troviamo di fronte ad una possibilità per un ragazzo che ha una disabilità, dunque che non è considerato “normale” di vivere una normalità.
Cosa ha significato per voi professionisti questo incrocio con Luca Santiago Mora? Per noi è stata un’esperienza molto utile. In realtà tutti quanti noi siamo cresciuti con questa esperienza. Il fatto di confrontarci continuamente con Luca ha un grande valore. Il gruppo dei medici si vede periodicamente con lui indipendentemente dal fatto che ciascuno abbia all’interno dell’Atelier un proprio paziente, perché è un’esperienza che riteniamo importante e per questo vada diffusa a tutti.
Poi, se ci sono condizioni particolari che devono essere discusse con il medico o lo psicologo che in quel momento sta seguendo il ragazzo, c’è anche l’intervento individuale. Insomma, anche tutti gli operatori della neuropsichiatria infantile hanno tratto vantaggi da questa esperienza.
E questi strani animali che arrivano da un altro mondo? Questi animali sono realmente un’espressione artistica. Luca è riuscito a tirar fuori dai ragazzi ciò che non sapevano, ciò che non sapevano di poter fare. Parliamo di ragazzi che dicono: “Io non so disegnare! Io non posso disegnare! Io non l’ho mai fatto durante il percorso scolastico! Io non ho mai partecipato, perché non sono capace.” Sono esperienze che loro non sono mai riusciti a vivere nel percorso scolastico normale e si ritrovano a viverle nell’Atelier, e con che esaltazione!
L’Atelier dell’Errore si propone come spazio interstiziale tra settori: non è solo arte, non è solo clinica. Cos’è l’Atelier? Non vuole essere un laboratorio per scoprire giovani talenti, e non è nemmeno terapia nel senso più nobile del termine, perché non si vuole ridurre a quello. Allora cos’è? Io credo che sia vita! Questo spazio è vivere! L’Atelier è uno spazio di vita per chi fa molta fatica a trovarlo tutti i giorni.Redazione