Il periodo estivo, coincidente con la chiusura degli istituti scolastici, è forse un momento propizio per affrontare un tema particolarmente critico nel nostro Paese, quello della dispersione scolastica.Si tratta, purtroppo, di una questione storica, come ci ricorda Maddalena Colombo, docente di Sociologia dell’educazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, che oggi ci appare in tutta la sua gravità se prendiamo in considerazione la crescente centralità della formazione sia nei processi economico-produttivi, sia, più ampiamente, nello sviluppo sociale e culturale di individui e comunità.
Da un lato, le grandi trasformazioni globali esigono percorsi formativi evoluti in grado di interfacciarsi e dialogare con livelli sempre più complessi nei campi scientifico, tecnologico e organizzativo. Questo si traduce, per imprese e organizzazioni in generale, in una domanda di profili professionali dotati degli strumenti necessari a sostenere innovazione e crescita.
Sul fronte individuale, accedere a una dotazione adeguata può costituire l’elemento differenziale per entrare in un mondo del lavoro sempre più selettivo, dove anche la competitività diventa globale.Se osservata in questa prospettiva, la scuola italiana sembra non riuscire a garantire neppure inclusione e integrazione, ovvero le condizioni minime di partenza affinché – come puntualizza Rosangela Lodigiani, docente di Sociologia generale e Relazioni di lavoro e capitale umano all’Università Cattolica di Milano – l’obiettivo del “non uno di meno” possa realizzarsi appieno.
I dati, purtroppo, continuano a confermare ben più tristi responsi, con quote importanti di ragazzi e ragazze che letteralmente “cadono fuori” dal sistema e difficilmente vi rientrano. Come sottolinea Maddalena Colombo tutto ciò ha costi elevatissimi, con una diminuzione della competitività, della coesione e della capacità del sistema di generare valore, economico e sociale.La formazione dunque conta e costituisce una delle leve più importanti, se non quella decisiva, per attivare e alimentare lo sviluppo integrale di persone, imprese e organizzazioni.Non si tratta però solo di prestazioni, dentro una visione solo strumentale dei processi formativi. Quella in gioco è una questione ben più ampia e complessa, dove il “formare” è azione educativa, accompagnamento sensibile ed intelligente di tutti e ciascuno ad essere il meglio di sé stessi, nel quadro di relazioni di interdipendenza e di reciprocità, dove la ricchezza di ognuno diventa arricchimento per tutti.
Ciò interroga profondamente la scuola, la sua natura, il suo mandato, il suo fine. E ciò, a sua volta, introduce una domanda ancora più profonda, forse più scomoda: quale tipo di persone vogliamo aiutare a crescere?I contributi raccolti sollecitano dunque molti interrogativi stimolati anche dall’esperienza della scuola professionale Oliver Twist di Cometa Formazione di Como (video) che costituisce una proposta innovativa nell’approccio alla formazione a partire dalla sua vocazione alla presa in carico di ragazzi con percorsi scolastici e/o di vita complicati.Cosa è oggi la scuola italiana? In quale direzione si sta muovendo? Come potrebbe diventare un luogo in cui ciascuno, secondo i propri talenti, è “capacitato”, ovvero aiutato a liberare dalla scorza la meraviglia di cui è portatore affinché possa essere pienamente sé stesso e contribuire ad incrementare la meraviglia del mondo?
Solo rimettendo al centro non il Sapere, ma la persona nella sua integrità, le persone e la loro differenza, la loro originale e personalissima ricerca, la scuola può diventare lo spazio di una grande esplorazione, un’avventura che porta ciascuno a scoprire la propria inimitabile bellezza dentro la bellezza del mondo.Una bellezza che tutti possono poi esprimere in modo unico ed inimitabile attraverso le mani, il corpo, la parola.Ma sempre se sognato, come direbbe Danilo Dolci.
Alla Oliver Twist si cerca con grande determinazione di perseguire questa intuizione, a partire da una scommessa progettuale su ogni ragazzo, dove il Progetto è di vita e di lavoro, che si chiarisce e realizza passo dopo passo attraverso progetti con la “p” minuscola – un tavolo, un abito, una ricetta –, il tutto reso possibile dalla presenza di maestri che accompagnano al sogno, al Desiderio.
La testimonianza di Luca Doninelli, scrittore e giornalista, ci accompagna alle radici di questa realtà, mostrandocene una fotografia appassionata e non banale perché frutto dell’esperienza e della riflessione personale.Non si tratta di una strada facile, quella della Oliver Twist, anzi. Tuttavia essa si propone come esperienza possibile, replicabile, condivisibile.È sotto il segno della bellezza – suggerisce Rosangela Lodigiani – che la scuola diventa “generativa” a partire dalla sua disponibilità a farsi spazio vuoto per ospitare “l’innato desiderio di conoscenza che tutti hanno, solo che li si sappia e voglia accompagnare nel riscoprirlo dentro di sé”, a farsi contesto in cui trovare le parole per scrivere il proprio testo.
In questo modo ognuno può diventare protagonista responsabile della propria esistenza.
Non si tratta tuttavia di un viaggio in solitaria. L’esperienza della Oliver Twist si regge sulla e prende vita dalla relazione: tra adulti e ragazzi, tra gli studenti stessi, con i tanti imprenditori grandi e piccoli che hanno aderito a questa proposta in un’alleanza che ha molto da insegnare alla scuola italiana dove il raccordo scuola-lavoro non funziona e i canali di transizione tra l’aula e l’azienda sono inadeguati.
Più ampiamente, però, la relazione della Oliver Twist è con il mondo e le sue interpellanze.
E il bisogno grande a cui essa risponde è, in primis, quello di tanti ragazze e ragazze che non ce la fanno, se lasciati soli, a diventare pienamente se stessi dentro una scuola affaticata e anche un po’ depressa che avrebbe bisogno più che mai di riscoprirsi luogo di bellezza e di umanità.
Redazione