C’è un grande scrittore testimone del nostro tempo che vede cose che noi fatichiamo a vedere: Cormac McCarthy. Vive con la moglie e il figlio in un Pueblo del New Mexico, poche centinaia di abitanti. Eppure vede cose che noi fatichiamo a vedere.

Vede, McCarthy, che il nostro mondo è sofferente. Come se fosse attraversato da una profonda, grave ferita. Patisce la natura e guaiscono gli animali, segni del creato, tracce del respiro del mondo, e con loro patisce un’umanità affaticata.

È un dolore talmente indicibile e penetrante ogni cosa, quello descritto nei romanzi di McCarthy, che pare provenire da un’entità maligna antica quanto il mondo. A questo dramma se ne aggiunge un altro: l’uomo è impotente di fronte a questo nemico, però può alimentarlo. Quando calpesta il creato, sacro, in cui vive, o se provoca sofferenza a un altro uomo. Questo gesto, ogni volta, riapre la ferita del mondo.

Questo scrittore così ritirato dalla vita mondana riesce a vedere il mondo lucidamente. Vede che al mondo c’è il male, quando a molti manca il coraggio di riconoscerlo: viene più facile ignorarlo, far finta che non ci sia. E vede che è un male inestirpabile, al di là dell’umano, anche se non è separato dall’umano: i due possono mescolarsi e darsi forza l’un l’altro.

La strada è forse uno dei romanzi di McCarthy più difficili da affrontare, come lo sono certe verità. Nella storia narrata, la ferita del mondo è ormai troppo profonda. Non c’è più traccia della natura, tutto è ridotto a cenere, in una post-apocalisse di cui l’autore non rende nota la causa: non è questo il punto.

Il punto è cosa fare di quello che rimane. E ciò che rimane, in un mondo ormai morto, sono una manciata di uomini e donne ridotti a bestie, consumati dal solo pensiero di se stessi e della loro sopravvivenza. E un padre e un figlio, che continuano a camminare in silenzio, cercando di raggiungere l’oceano.

In un mondo così esposto al tocco del male, nel quale l’ordine su cui poggiava ogni cosa è ormai spezzato e “non si può riaggiustare”, il padre continua a proteggere il figlio, perché “è il suo compito”. Non solo dalle intemperie e dai pericoli di quella natura ostile, ma soprattutto dalla paura e dalla desolazione, dal buio che questa può portare nel suo animo. Il padre resiste perché ha un figlio da salvare e il bambino sopravvive ed è promessa di vita perché ha un padre, perché l’uno riconosce se stesso soltanto negli occhi dell’altro. Senza il figlio, senza quella promessa di vita il padre non sentirebbe di avere alcun compito: il suo stesso essere al mondo non avrebbe più senso. Senza il padre, il figlio non potrebbe divenire promessa di vita, perché non conoscerebbe un amore talmente potente da pensare di poter sfidare il male. Ecco perché i protagonisti di questa storia non potevano che essere più di uno.

Emblemi di una silenziosa, universale preghiera, padre e figlio continuano a camminare verso l’oceano, verso una speranza di vita. Scelgono di non arrendersi alla desolazione, di non rivolgersi indietro osservando nostalgici un passato che non si ripeterà più come prima. Il loro sguardo è rivolto in avanti.

Cosa li salva? L’amore che provano l’uno per l’altro. Ma anche la pietà verso quel che rimane dell’umanità. Se ciò che alimenta il male nell’uomo è la spietatezza nei confronti del mondo, dei suoi simili e di tutto ciò che è sacro, ciò che lo salva è la pietà: la capacità di non cedere alla desolazione mostrando sempre un sincero trasporto per gli altri. E l’amore per la vita, perché il figlio rappresenta per il padre la sola promessa di un domani che gli sopravvivrà. Un amore talmente radicato, talmente indicibile da permettersi di scommettere contro il male.

«Ce la caveremo, vero, papà?

Sì. Ce la caveremo.

E non ci succederà niente di male.

Esatto.

Perché noi portiamo il fuoco.

Sì. Perché noi portiamo il fuoco».

È il grande insegnamento di McCarthy in questo tempo sospeso, in questo spazio annullato, di fronte a un male che, questa volta, ci impedisce di voltare lo sguardo dall’altra parte: non ci succederà niente di male, se porteremo il fuoco.