Se è possibile che i primi imprenditori coinvolti nel progetto lo abbiano fatto per amicizia o generosità, oggi le commesse si fondano sull’affidabilità che la cooperativa ha saputo conquistarsi nel tempo, nella sua capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati, nel garantire un’elevata qualità dei prodotti.
La cosiddetta “Legge Smuraglia” del 2000, prevedendo agevolazioni fiscali per le imprese che assumono persone in stato di detenzione sia all’interno, sia all’esterno del carcere, apre la strada a nuove sperimentazioni. In alcuni spazi non utilizzati del carcere, Giotto dà avvio ad una prima produzione di manichini di carta pesta per l’alta moda. Da allora la presenza in carcere della cooperativa non fa che crescere. Oggi le attività proposte sono numerose e coinvolgono settori eterogenei.
Anzitutto la pasticceria – il marchio “Officina Giotto” è famoso in Italia e all’estero soprattutto per la produzione di lievitati (i “Dolci di Giotto” hanno ricevuto alcuni tra i premi più prestigiosi del mondo dell’enogastronomia) – a cui hanno fatto seguito più recentemente la gelateria e la cioccolateria. Poi il call center. Nell’attraversarlo è difficile ricordarsi di essere in carcere: c’è chi prenota esami clinici presso l’ospedale di Padova; chi verifica i dati contrattuali delle forniture di Illumia. In un’altra area si montano biciclette. Ogni giorno da aziende dai marchi leggendari arrivano nuovi modelli che con grande perizia i detenuti-lavoratori assemblano. Poco più in là si completano le valigie di Roncato. Nella stanza accanto si producono business keys e si eseguono processi di digitalizzazione per numerosi committenti.
Chi lavora è concentrato su quanto sta facendo: la guarnizione di una Sacher, la spiegazione paziente all’utente degli orari e delle condizioni per effettuare una visita cardiologica… La qualità, del resto, è tutto e l’alta formazione dei detenuti è parte fondamentale del programma. Qui si opera sul mercato, altro che terapia occupazionale. Niente perline da infilare ma lavoro “vero”, professionalizzato, che riesce a stare sul mercato perché sono i risultati e la passione a convincere.
Camminando nei capannoni e osservando i detenuti al lavoro si ha un senso di naturalezza: i gesti sono fluidi, precisi, le attività perfettamente rodate, le mani veloci ed esperte. Dietro, però, c’è un imponente lavoro di accompagnamento messo a punto dalla cooperativa in questi anni. Molte sono le persone incarcerate che chiedono di accedere al programma. Solo pochi vi riescono. Non tutti, infatti, sono pronti a sostenere un percorso lungo ed esigente, ma che può cambiare una vita. Come ci racconta Andrea Basso, presidente della cooperativa, spesso con i detenuti si parte da zero. Perché il lavoro “vero” molti non l’hanno mai conosciuto. Così ci sorprende Roberto, uno dei detenuti che hanno aderito a comparire nel video, quando ci racconta: “Il lavoro libera!”. Il lavoro libera quello che di bello e buono ognuno si porta dentro e che magari non sa nemmeno di possedere, ma a certe condizioni: quando diventa spazio di ricerca, crescita ed espressione del proprio più vero sé. Quando, attraverso il lavoro, è possibile ri-conoscersi, cioè ritrovarsi.
Quando attraverso il lavoro si ritrova un senso, una direzione. Lo spiega bene Nicola Boscoletto: “Qualcuno dice: “Con il lavoro sono rinato, sono una persona nuova!” E’ giusto perché tu non sei più quello di prima. In realtà, però, il lavoro ti fa essere quello che dovresti essere”. Il lavoro libera il vero te stesso.