Il continuo fermento progettuale che porta la Fondazione a espandere continuamente i suoi obiettivi e a includere nuovi soggetti e territori si muove attorno a tre nuclei ben saldi, tre principi che sono anche tre coordinate di lavoro.
Anzitutto il Progetto di vita. La fondazione ha sviluppato un modello di accompagnamento coordinato e continuativo che mette al centro la persona con disabilità e la sua famiglia. L’alleanza è tra operatori professionisti e volontari che, combinando sfera sanitaria e sfera sociale, danno vita a interventi attenti alla qualità delle attività prestate, all’uso accorto ed efficiente delle risorse e al monitoraggio dei risultati. I bambini coinvolti nel progetto vengono accompagnati dalla nascita fino all’ingresso nel mondo del lavoro con interventi a carattere sanitario che mirano al potenziamento di singole funzioni neurologiche o psichiche.
Ai più grandi vengono proposti momenti di alternanza scuola-lavoro. Ogni percorso – individualizzato e declinato secondo la tipologia di risorse che il ragazzo o la ragazza possono mettere in campo – prevede l’avviamento a un percorso di formazione finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro (vero) e, dunque, all’autonomia di vita (vera). Su questa conquista si innestano poi altri interventi finalizzati a migliorare la vita sociale e relazionale (gestione del tempo libero, autonomia abitativa, etc).
La realizzazione del progetto di vita richiede un network robusto – che la Fondazione negli anni è riuscita a creare – tra famiglie, istituzioni, presidi sanitari, servizi sociali, aziende e realtà territoriali di volontariato.
La direzione in cui ci si muove è chiara: superare l’approccio tradizionale alla disabilità, dove prevalgono interventi frammentati e affatto sintonici tra sanitario e sociale, per un approccio olistico, integrato, partecipato, condiviso.
Tale prospettiva prevede di ripensare il tipo di intervento tradizionalmente dedicato alle persone diversamente abili, raramente orientato in senso promozionale e abilitante. Il tentativo da parte della Fondazione è di superare la formula classica dei “centri diurni”. In questi ultimi, solitamente, le persone con disabilità trascorrono il quotidiano in compagnia di operatori dedicandosi ad attività che fungono da mero riempimento e che difficilmente sono in grado di costituire una prospettiva di autonomia in quanto lontane – quando non estranee – dal/al circuito del lavoro vero e della vita economica locale.
Il secondo filone tematico affrontato riguarda l’idea di sussidiarietà. La fondazione è divenuta famosa per la proposta “33-33-33” dove, simbolicamente, si riafferma la fondamentale corresponsabilità di famiglia, istituzione pubblica e privato sociale nel “mettere al mondo” e “prendersi cura” dell’autonomia delle persone diversamente abili.
E’ un modello che prevede la possibilità di iniziativa di tutti i soggetti che abitano un territorio e intercettano un bisogno. È proprio questo che ha realizzato, appunto, la Fondazione giocando pariteticamente su più tavoli, con più ruoli, con crescente responsabilità progettuale e realizzativa e funzionando da stimolo per le altre soggettività locali.
Il terzo pilastro è l’impresa sociale. Per la Fondazione più di un sogno è nelle terre di mezzo che si crea il valore. E’ nei luoghi dove economia e sociale dialogano che è possibile produrre futuro, ovvero sostenibilità, progettualità a lungo termine, vera integrazione.
Concretamente ciò ha significato muoversi in diverse direzioni.
Un primo movimento è quello di avvicinamento della Fondazione al mondo dell’impresa. Si è scelta una postura di ascolto delle aziende, per assumersene i bisogni, proponendosi come partner nell’inserimento dei giovani con disabilità intellettive.
La legge italiana è tra le più avanzate al mondo sul tema dell’inserimento di persone portatrici di handicap. Nel nostro Paese, per le imprese che hanno superato un certo numero di collaboratori vige l’obbligo di inserire in organico anche persone in difficoltà. Nei fatti, tuttavia, l’impresa è lasciata sola nell’assolvimento di questo obbligo che richiede invece attenzioni particolari, sia sul fronte delle persone da integrare, sia sul fronte dell’organizzazione medesima. Ed è qui che interviene la cooperativa Vale un sogno che ha sviluppato un peculiare modello di accompagnamento all’impresa.
La cooperativa invia in azienda i propri operatori/formatori che mappano l’impresa, identificano aree potenziali di inserimento lavorativo dei ragazzi e le propongono all’impresa. A questo punto, negli spazi della cooperativa viene simulato un analogo ambiente di lavoro e gli operatori formano ad hoc il ragazzo o la ragazza individuati per quella tipologia di attività. Una volta pronto, il giovane viene accompagnato in azienda e avviato al lavoro “vero”. Al contempo si lavora sui colleghi di lavoro, li si prepara e si individua tra questi ultimi chi , per speciale attitudine o sensibilità, può diventare il nuovo punto di riferimento interno all’organizzazione per il nuovo arrivato.
Il modello ha dato ottimi riscontri, con grande soddisfazione dei ragazzi e delle famiglie, ma anche dell’impresa e dei collaboratori. Già si pensa ad un’evoluzione del format, attualmente in fase di sperimentazione presso Geox, a Montebelluna, e L’Oreal a Torino. Il nuovo e più ambizioso obiettivo è quello di sviluppare hub formativi all’interno delle imprese più grandi, così da trasformarle in poli di riferimento formativi per tutto il territorio: nella sensibilizzazione/accompagnamento all’integrazione delle aziende; nella preparazione dei disabili al lavoro; nella formazione di professionisti (educatori, psicologi, operatori sociali) rispetto alle pratiche di integrazione.
Il secondo movimento è lo sviluppo di un modello produttivo che – facendo perno sul bisogno del mercato di prodotti altamente individualizzati – faccia della differenza un valore e non un problema da evitare o un errore da scartare.
E’ quanto è avvenuto nel 2013 con il progetto GEOX for Valemour, ad esempio. Qui si è lavorato in co-branding, dove i due marchi Geox e Valemour hanno sviluppato e portato sul mercato congiuntamente un’unica linea di prodotti. Come sottolinea il Bilancio di Missione 2014 si tratta, anzitutto, di una visione di idee, di valori, di modelli, di processi, di visioni. “Mettersi insieme” significa condividere i propri sistemi per poi scardinarli e ricomporli in un sistema nuovo, in parte anche non conosciuto”.
L’incrocio con Fulvio Luparia, un artista del colore e padre di un ragazzo disabile, e Geox consente di avviare un ambizioso progetto che prevede di realizzare una linea di scarpe originalissime “limited edition”. Ciò che – dentro un’altra cornice – viene considerato “scarto” di produzione, viene reinterpretato quale pezzo unico. Una bella metafora per raccontare le traiettorie di questi ragazzi.
Il progetto riscuote un grande successo e le scarpe vengono vendute nei negozi Geox in Italia e in Spagna. L’importante mole di lavoro generato convince la Fondazione a condividere questa opportunità con altre realtà no profit del circuito CoorDown nei due paesi. Oggi nel progetto sono coinvolte oltre una decina di associazioni in un processo che prevede la formazione di nuovi operatori, l’inclusione al lavoro di altri ragazzi, il coinvolgimento di altre famiglie, la crescita di altre comunità territoriali.
Inoltre, per incrementare l’impatto sociale del progetto, viene prodotta e venduta una shopping bag. Il ricavato delle vendite viene donato da Geox alla fondazione. Quest’ultima decide di distribuire un terzo della donazione ad altre organizzazioni impegnate in progetti innovativi nel campo dell’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettiva.
Ora la speranza è che il marchio Valemour possa continuare a rafforzarsi e ad essere riconosciuto sul mercato così da avviare strategie proprie di commercializzazione.