Per un’economia della bellezza. La Fondazione Castello di Padernello di Redazione Intro Un castello quattrocentesco in rovina immerso nella campagna bresciana, un gruppo di persone che amano il proprio territorio e che condividono uno stesso desiderio di recupero del bene, un ente locale disponibile a scommettere su una gestione condivisa, una robusta idea progettuale: questi sono gli ingredienti di quello che possiamo definire il “caso Padernello”, un’esperienza di successo di riqualificazione di un bene storico in grave stato di abbandono – il castello di Padernello già Martinengo-Salvadego – attraverso un’efficace formula di acquisto e di governance pubblico-privato e un’intelligente progettualità che ne garantisce la sostenibilità economica e sociale.
La Fondazione Castello di Padernello (www.castellodipadernello.it) è una fondazione di partecipazione nata con l’obiettivo di recuperare, promuovere e valorizzare un castello quattrocentesco riscattandolo da un inesorabile declino. Collocato nella bassa bresciana, nel piccolo comune di Borgo San Giacomo, l’immobile è appartenuto a una famiglia nobiliare fino agli anni Sessanta, quando viene abbandonato e cade lentamente in rovina.
A rischio c’è la perdita di un bene storico-artistico di grande rilevanza culturale e simbolica per un territorio da decenni sottoposto a una spregiudicata urbanizzazione. Per un gruppo di residenti – che si riunisce nell’associazione “Amici del borgo e del castello di Padernello” – il degrado del bene è il segno di un’incuria più profonda, quella nei confronti di un passato locale che, solo, può fare da guida verso il futuro e arrestare i processi di indifferenziazione e di banalizzazione che negli ultimi decenni hanno stravolto il carattere e le peculiarità del contesto.
Queste derive hanno messo a repentaglio la memoria individuale e collettiva, il saper fare locale, gli equilibri ambientali e la dimensione antropologica, a vantaggio di un approccio solo consumistico all’ambiente e alle sue risorse, con gravi conseguenze sulla qualità della vita dei suoi abitanti.
Pian piano nel gruppo matura l’idea ambiziosa del recupero e del rilancio del bene a beneficio dell’intero territorio. Non si attendono però aiuti dall’alto. Piuttosto si cercano soluzioni concrete, praticabili e sostenibili. L’operazione che rende possibile tutto questo è un’inedita alleanza pubblico-privato – il castello viene acquistato come bene indiviso per il 51% dal Comune di Borgo San Giacomo e per il 49% da privati – mentre lo spirito che la anima è sanamente imprenditoriale: in tutti è chiara la necessità di arrivare a breve a una sostenibilità economica del progetto, grazie allo sviluppo di iniziative culturali di elevata qualità e coerenti con la vocazione della struttura.
Ciò che si vuole evitare è la musealizzazione del castello, per avviare, invece, una nuova economia sociale attorno ad un ritrovato “bene comune”. Nell’iniziativa vengono coinvolte alcune banche di credito cooperativo locali, una società di gestione, il Comune e alcuni privati. Dalle banche si ottiene un prestito per il restauro dell’immobile. Le braccia e la creatività le mettono i tanti volontari che il progetto mobilita e coinvolge.
La neonata direzione artistica punta su ben 9 linee di sviluppo che comprendono il teatro e il cinema, mostre ed esposizioni, una biblioteca/libreria specialistica, la valorizzazione del contesto castellano e dell’ambiente rurale. Padernello diventa sede del secondo presidio Slow Food in Lombardia, dopo Milano. Il progetto funziona. Ogni anno oltre 60.000 visitatori si avvicendano nelle bellissime sale del castello. Le attività generano un reddito che riesce a coprire la rata annuale del mutuo e prende avvio un’operazione di riacquisto delle quote proprietarie da parte della Fondazione. L’iniziativa ha successo soprattutto grazie all’appassionata partecipazione di numerosissimi volontari (ad oggi la Fondazione ha un solo dipendente). Tra loro, molti i giovani.
Con grande lungimiranza, la Fondazione ha ideato un progetto di “borse di apprendistato civico” con il sostegno di una banca locale. I volontari, adeguatamente formati, mentre fungono da guida ai visitatori del castello, coltivano un legame speciale con un bene che certamente rappresenta il loro passato e che forse costituirà anche il loro futuro. Particolarmente ambiziosi sono, infatti, i nuovi sviluppi del progetto. L’idea degli iniziatori è di ampliare l’intervento sulle cascine attigue al castello, promuovendo servizi di ristorazione e valorizzando i prodotti locali, attraverso forme cooperative in grado di creare occupazione (e integrazione sociale) ed essere volano per una nuova economia sociale.
L’esperienza di Padernello appare davvero esemplare rispetto alla possibilità di valorizzazione dei beni comuni culturali minori di cui l’Italia è ricchissima. Spesso abbandonati dalle istituzioni, o viceversa, fagocitati da logiche consumistiche che non raramente li trasformano in fast food culturali, questi beni possano diventare il cuore pulsante di nuove mappe sociali e economiche, simboliche ed identitarie. Attorno alla bellezza è dunque possibile “ritrovarsi” e creare nuove economie. La bellezza non costituisce solo un fattore estetico, ma anche patrimoniale. L’esperienza di Padernello è illuminante e le cifre sono altrettanto chiare: oggi il maniero – acquistato per 730.000 euro – ha un valore di 5 milioni di euro. Il modello Padernello è facilmente replicabile da un punto di vista progettuale e gestionale e dunque può essere esportato e condiviso. Come sempre, però, l’elemento tecnico da solo non basta. La differenza la fanno le persone, la loro forza e convinzione, passione e generosità. Come suggerisce l’esperienza di Padernello, lo scarto sta soprattutto nella capacità di desiderare e generare insieme nuovi immaginari, soluzioni, relazioni, progetti, forme sociali. Domenico Pedroni, uno dei protagonisti dell’iniziativa, né è fortemente convinto: “Il sogno è ben diverso dall’utopia. Il sogno, se ci crediamo in tanti, ha una sua fattibilità”.Redazione