Non c’è dubbio, però, che il mantenere in vita un’impresa costituisca un compito almeno altrettanto arduo rispetto alla sua costituzione, soprattutto in scenari economici instabili e dagli orizzonti alquanto nebbiosi.
Quando poi la sopravvivenza aziendale dipende dalla buona riuscita del passaggio del testimone ad un successore le cose si fanno ancora più complesse.
Nel caso delle imprese familiari, la trasmissione si coniuga come “passaggio generazionale”, con una serie innegabili di complicanze, poiché a questo punto si aggiungono ad aspetti di natura economico-patrimoniale e gestionale altre considerazioni, di carattere psicologico, affettivo, perfino culturale, che devono potersi conciliare con il bene dell’impresa e la sua abilità a restare sul mercato.
Gli studi di settore che si sono occupati del tema confermano l’elevata criticità di questa fase. Numerose sono le realtà imprenditoriali familiari che non superano la terza generazione e non è un caso che si incomincino a remunerare passaggi generazionali ben riusciti anche attraverso l’assegnazioni di premi e riconoscimenti pubblici[1].
Il contributo dei Proff. Guido Corbetta, Alessandro Minichilli e Fabio Quarato, del Dept. of Management & Technology and AIdAF-Alberto Falck Chair of Strategic Management in Family Business, presso l’Università Bocconi, ci offre un puntuale quadro di insieme delle imprese familiari e della loro rilevanza a livello economico, introducendoci al tema del passaggio generazionale quale opportunità evolutiva dell’impresa ma anche innegabile fattore di rischio.
Se la continuità di un’impresa è un “bene”, qualcosa da custodire e preservare, allora diventa indispensabile attrezzarsi opportunamente e per tempo, così da affrontarne con successo i momenti di transizione.
Questo perché non solo la sopravvivenza di un’impresa è garanzia che essa potrà continuare a generare valore per molti, ma anche perché la sua durata consente di evitare i costi di natura economica e sociale che ogni cessazione di attività imprenditoriale comporta.
Riponendo nuovamente il focus sull’impresa familiare, un suo eventuale fallimento toccherà la famiglia stessa, la quale vedrà disperdersi un patrimonio più o meno significativo dal punto di vista economico economico, inestimabile sul lato simbolico.
La ricaduta negativa non è però minore sui collaboratori e sui loro congiunti che hanno riposto fiducia nella capacità della famiglia di portare avanti il progetto imprenditoriale.Vi sono poi conseguenze di natura sociale poiché – non va dimenticato – l’impresa familiare è solitamente una realtà profondamente radicata in un contesto con il quale intrattiene da tempo un rapporto di reciproco scambio.
Ogni impresa familiare è dunque una storia di famiglia, ma anche una storie di famiglie, quelle dei dipendenti e di una comunità. Spesso il successo di un’azienda ha coinciso con lo sviluppo di una intera città. E non è necessario avere troppa fantasia per collegare nomi e territori – da Olivetti a Ferrari, da Crespi a Ferrero – riscoprendo le numerosissime relazioni di senso e di valore che costruiscono l’Italia, perché il nostro Paese ha fondato la sua prosperità soprattutto su questo modello imprenditoriale che cerca di riconciliare valore d’impresa e valori familiari, lavoro e legami, tradizione e sviluppo.
Ma, come molte storie raccontate nell’Archivio della generatività testimoniano, non meno importante è la capacità di custodire innovando, coniugando continuità e novità, fedeltà e nuovi orizzonti, rigenerando in tutti il desiderio di fare bene le cose e immettendo nuova vita nell’impresa la cui continuità dipenderà anche da questo nuovo soffio vitale. Ciò è possibile, tuttavia, come sintetizza efficacemente Mauro Magatti, solo nel momento in cui si riconosce di essere inizio e non origine, “figli” e non “padroni assoluti” delle cose e del mondo, “parte” di qualcosa che tocca a noi continuare a far vivere e non monadico, insensato e sterile “tutto”.
[1] Si veda ad esempio il premio “Di padre in figlio” sostenuto da numerosi partners.
Redazione – Gruppo Zambon