Gruppo Zambon  Vai alla Storia

Si può generare perché si è stati generati

Condividi:

Si può generare perché si è stati generati. È questo ciò di cui rende testimonianza Elena Zambon in questo bel video, pieno di passione e di vitalità, che andrebbe mostrato in tutte le scuole superiori per spiegare cosa vuole dire oggi fare l’imprenditore. Non un modo per far soldi o per affermare se stessi, ma una sfida di intelligenza e umanità, che si spinge a dare il meglio di noi stessi, insieme ad altri, per rendere il mondo un po’ migliore di quello che è.

Si tratta di una logica molta diversa rispetto al mito dell’individuo assoluto, autosufficiente e autonomo, oggi dominante. Come ha scritto Massimo Recalcati, ‘Il fantasma della libertà rifiuta, insieme all’esperienza del limite, la discendenza, l’esperienza stessa della filiazione, rifiuta il nostro essere figli’. Ma ‘divenire genitori di se stessi ė una follia pari a quella che sostiene l’Io come padrone in casa propria’ (Il complesso di Telemaco, Feltrinelli Editore, Milano, 2013, pp. 46-47).

Se pensiamo di essere i creatori dell’essere, i ‘padroni’ dei nostri figli, o delle nostre aziende, inventori assoluti di un supposto nuovo, cadiamo in quell’atteggiamento violento e tracotante, e anche un po’ grottesco, così diffuso oggi, che gli antichi chiamavano hybris: essere pieni di sé, disprezzare gli altri, agire affermando con prepotenza il proprio punto di vista, senza nessuna consapevolezza dei propri limiti. Tratto che, nella tragedia greca – ma anche nella cronaca contemporanea – porta l’uomo alla rovina.

La figura opposta ė quella dell’aidos: quella consapevolezza del proprio limite che non ci impedisce di agire, ma semplicemente ci rende rispettosi, ricettivi e grati, attenti al contesto. Cioè, consapevoli della realtà.‘Onora il padre e la madre’ è una delle ‘dieci parole’ (come più appropriatamente sono definiti i comandamenti nella tradizione ebraica, cfr. M. A. Ouaknin, Le dieci parole, Milano, Paoline Ed., 2001) che parla appunto del rispetto che viene dal riconoscimento di un legame, dalla gratitudine per quanto si è ricevuto, anche indipendentemente dal ‘merito’ di chi ce lo ha trasmesso. Essere generativi – dice Elena Zambon – è mettere al mondo facendosi inizio, ma senza pretendere di essere origine assoluta. E’ ricevere e restituire in forma nuova. È ereditare dei valori e avere il coraggio di confrontarsi con la cultura dei mezzi e con il proprio tempo. È farsi tramite, ma un tramite insostituibile e originale e non pura ‘funzione trasmissiva’, strumento per un fine. Mettere al mondo significa saper attingere da una tradizione, ricevere un seme da far crescere, un’idea da far progredire, una sensibilità da poter condividere con altri. Essere ‘il giusto erede’.

Ricevere, trasformare, restituire qualcosa che entra nel mondo andando oltre noi stessi: questo è il generare.

Gustav Mahler afferma che la tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere: l’eredità del passato non va “conservata” ma va riscoperta e rigiocata con coraggio per ospitare la ricchezza plurale della vita che viene.

L’idea di cambiamento espressa dalla generatività ha dunque a che fare con una rivisitazione, un ritorno all’origine. Al generativo non interessa il nuovo per il nuovo, né la differenza per la differenza. Il suo desiderio è piuttosto portare a realizzazione personale ciò che si è ricevuto e ciò che si vuole lasciare ad altri. Ancorato a un’origine – da cui riconosce di provenire – non riproduce il meccanismo dell’espansione quantitativa basato sulla differenza equivalente, ma ha il gusto di una differenza eccedente che da forza e sostanza ad uno stile personale che rende bella la realtà.

Mauro Magatti