Tutto tornerà come prima o nulla sarà più come prima, il nervosismo della comunità umana di fronte alla catastrofe è irritante come se gli uomini fossero incapaci di fare osservazioni determinate e specifiche, considerazioni ordinate che tengano conto della lunga durata e dell’imperdibile lezione di Fernand Braudel. Niente di nuovo, è già stato così per le due torri ed era solo vent’anni fa. Intanto è evidente che nel generale emergere di un mondo Eracliteo (tutto scorre: scorrono le immagini, le merci, i migranti e scorrono i virus), i virus seguono l’uomo e ne apprezzano la velocità, nella velocità si esaltano seguendo la ferrea logica darwiniana dell’evoluzione per la sopravvivenza. Non che ne abbiano coscienza, solo all’uomo è riservata questa prerogativa, si muovono per natura come l’acqua di fronte a una pendenza. D’altro canto l’emergenza invoca Parmenide; corrisponde all’esigenza tante volte conclamata dal mio grande maestro (Emanuele Severino) che l’essere è e non può non essere. L’emergenza invoca l’equilibrio, l’omeostasi, la brama e di solito la ottiene. Tutto in genere torna in equilibrio, diverso ma esattamente come prima. L’uomo torna a generare, i mercanti tornano a scambiare e le città tornano a crescere. Una grande poetessa (Wisława Szymborska) dice: tutto cambia in questo mondo ma i fiori si apriranno ogni primavera. L’importante nell’emergenza è essere rigorosi, il grande generico è il grande inutile, attribuire tutto allo shock da civiltà, è mistico e offensivo.

1. Questo non è uno shock da troppa civilizzazione è uno degli effetti secondari della globalizzazione. È così ed è sempre stato così nei secoli dei secoli. A ogni nuova ondata di globalizzazione si associano epidemie nuove. Forse il riscaldamento globale è uno shock da civilizzazione non la pandemia.

2. La cura delle pandemie richiede un surplus di scienza e un aumento delle capacità di fare sistema, un tempo si sarebbe detto che richiede anche un più di compassione divina e ancora oggi, poiché la realtà è stratiforme, il Papa prega e invoca il crocefisso della peste.

3. Il risultato generale, tuttavia, premierà le società capaci di essere più avvedute: più disciplinate e più umane insieme. Quando ci metteremo in testa che il governo “prevede” l’opposizione, che l’equilibrio è costituito dal bilanciamento dei contrari sarà sempre tardi. Così anche questa volta, come nei secoli dei secoli, il risultato sarà una lieve curvatura dell’agire umano verso la cooperazione e la circolarità. Quel che è importante, come il destino del mondo, è sempre difficile a farsi e lento nel suo accadere.

4. Tutto sarà come prima, si spera con una briciola d’intelligenza in più. Questa macro tendenza era già avviata da tempo e forse verrà rafforzata dalla pandemia. Il digitale, il cambio dei materiali costruttivi e la disintermediazione (l’automazione) ne erano i processi di fondo più evidenti.

La consapevolezza che quel che facciamo – come individui – ha una inferenza sociale grande e che, tuttavia, è la società (la totalità dei pari) e non l’individuo a definire i veri avanzamenti del fenomeno umano, è l’ispirazione nuova che ci serve. Disciplina individuale e cura collettiva sono i due poli di questo difficile bilanciamento che la pandemia mette bene in evidenza, ma anche creatività individuale e ordine statale. La ricetta, come dice Von Hajeck (La via della schiavitù), è che la necessità vera o supposta vera (il totalitarismo) non sovrasti mai più la creatività. Il bilanciamento di questi aspetti è la regola del buon governo prima, durante e anche dopo gli avvenimenti di questi giorni. La Cina (un assolutismo per molti aspetti di tipo nuovo) ha risposto meglio all’epidemia di Covid-19 degli Stati di antico regime dell’Occidente, ora (prima o poi) vedremo come i diversi modelli risponderanno alla grande sfida della rinascita. Non Parmenide o Eraclito, ma stato (consistenza, ordine, misura) e rivoluzione (movimento, generatività, creatività) insieme, come diceva il titolo, meglio che l’azione, del caucasico leader della Rivoluzione russa. Stato e rivoluzione (1918) è uno dei più bei titoli e più significativi nella storia del pensiero umano più recente. Bisogna imparare a governare i contrari, esaltandoli e non mortificandoli. La nuova epica è la morte di Hegel, lui (e Marx) sono stati il moderno, il tempo di adesso è un tempo diverso, quello della noosfera, la de-materializzazione dei processi (lo sguardo molecolare) e le nuove forme della spiritualità inclusiva guidate dalla fede e/o dalla cultura (è indifferente) sono gli assi portanti di una nuova epoca tutta da scoprire, la nuova clausura (di cui la quarantena è il simbolico esercizio) il rischio da evitare. Chiusura o apertura è il dilemma, glocalismo, come dice da molto Piero Bassetti, un radicamento dinamico, profondamente italico nella forma e nello spirito, la soluzione.