Ripartire ancorandosi ai bisogni: il ruolo rigenerato del “non profit”
Stiamo vivendo un periodo di difficoltà condivisa e multiforme che ci sta facendo riscoprire tutti un po’ più fragili e un po’ meno liberi (perlomeno nella concezione superficiale di libertà a cui ci eravamo abituati)[1]. Inoltre, guardando al dopo, non sembra delinearsi una situazione molto più facile dell’attuale. Veloci cambiamenti, quasi tutti verso il peggio, ci aspettano e questo mieterà delle vittime, in termini economici, dopo averne mietute tante in termini umani. Anche le soluzioni prospettate sembra non saranno scevre di ripercussioni negli equilibri già fragili del tessuto socio-economico pre-Covid. L’entusiasmo verso soluzioni molto espansive da un punto di vista economico e monetario genererà presto alcuni dubbi e perplessità sulla reale accessibilità ed efficacia delle stesse e sulle connesse conseguenze inflazionistiche e di deperimento dei patrimoni accumulati in anni di lavoro e sacrifici.
Detto ciò, la strategia vincente che permetterà di sopravvivere o evolvere a molte organizzazioni sembra essere il ritorno al bisogno, alla sua essenziale natura e alle sue modalità concrete di evolversi e soddisfarsi. In un tempo di incertezza, le risorse e le scelte saranno più oculate, più responsabili e si indirizzeranno verso acquisti e investimenti che permettano concretamente di migliorare, in maniera multiforme, la propria situazione personale (economica e non solo) e familiare. Inoltre, la percezione forte di nostalgia verso le relazioni fisiche, vive, fatte di strette di mano e abbracci, una volta superato il trauma del metro di distanza, spingeranno a voler costruire assieme queste soluzioni e voler incontrarsi per condividere riflessioni sui bisogni e sulle dinamiche di risposta.
Perciò, l’incontro con la fragilità che stiamo facendo tutti, genererà la voglia di farsi prossimi ai bisogni più concreti anche dopo. Ci abituerà – si potrebbe dire educherà – all’avvicinamento verso le esigenze, soprattutto dei più fragili, in quanto ci resterà nella memoria di aver vissuto una situazione simile, seppur temporanea. E questo porterà, a mio parere, ad un ruolo rilevante delle organizzazioni che sono nate per farsi prossime rispetto a bisogni e fragilità evidenti e permanenti. Esse, infatti, sono veri e propri “esperti del bisogno” e hanno abilità e competenze consolidate nel rilevarlo e farsene carico. Perciò potranno offrire risorse competenziali rilevanti a tutte quelle iniziative imprenditoriali che, in maniera lungimirante, intraprenderanno un percorso di ritorno al bisogno. Saranno ricercate, saranno invitate a condividere percorsi già da loro intrapresi e potranno offrire una nuova visione di fare impresa, più essenziale e molto più attenta alla generazione e preservazione di beni relazionali.
I vari percorsi di contaminazione reciproca tra profit e non profit, che spesso vedevano quest’ultimo come beneficiario principale sui temi dell’efficienza gestionale e dell’efficacia nella strutturazione di servizi complessi, saranno riequilibrati con un apporto importante da parte dello stesso di capacità di analisi delle caratteristiche peculiari dei bisogni e abilità nella cura della relazione, entrambi fattori peculiari per costruire risposte efficaci nel nuovo clima post-Covid
Il bisogno vissuto scatena la creatività delle soluzioni
La situazione di nuovo bisogno diffusa che abbiamo vissuto nelle ultime settimane ha fatto sorgere spontaneamente un numero significativo di innovazioni in termini di servizio, soprattutto verso le persone più fragili. Innovazioni che hanno saputo cogliere il carattere di multiformità e integralità che compone il livello di qualità delle soluzioni e che ha generato un impatto rilevante in termini di capacità di resilienza rispetto all’attuale situazione di difficoltà.
Su questo fronte, il Terzo Settore ha fatto letteralmente scuola, in particolare quella parte che è rimasta attiva in quanto impegnata in attività caratterizzate da residenzialità. Si sono visti anziani che venivano coinvolti in vere e proprie rubriche quotidiane tematiche, spesso proposte sui social e condivise con altre strutture per intrattenere nel tempo libero gli ospiti. Oppure realtà di assistenza rivolte a disabilità intellettive che proseguivano percorsi di accompagnamento dedicati ai propri ragazzi coinvolgendoli in attività formative originali capaci di generare un impatto non solo su di loro ma anche su altre persone fragili che vi assistevano. Emblematico a tal riguardo l’esperienza di Luca, un ragazzo con una grave disabilità intellettiva, che essendo appassionato di previsioni meteo elabora con i suoi educatori a distanza dei brevi video in cui le enuncia per il giorno successivo. Video che sono poi diffusi all’interno di alcune strutture RSA grazie ad un assistente sociale particolarmente intraprendente e che allietano gli ospiti anziani.
Di necessità, virtù si direbbe. Di bisogno, impatto potremmo tradurre oggi.
Coinvolgimento strategico degli stakeholder
La veloce evoluzione portata dall’emergenza Covid, come già detto, genererà ripercussioni forti sulle strategie di sviluppo delle organizzazioni aziendali e comporterà una necessaria riflessione da parte dei responsabili manageriali volta a capire come dare continuità aziendale in un nuovo contesto in cui molti fondamentali si sono mossi molto velocemente e in cui ciò che prima era sufficiente ora rischia di non esserlo più.
Questo processo di ripensamento degli schemi gestionali e commerciali e di riposizionamento rispetto ad un contesto che è variato non potrà essere fatto all’interno di stanze piccole e con poche persone. E non perché l’attuale normativa non lo permetta – o meglio anche per questo – ma perché le risposte non possono derivare dal confronto tra poche teste, anche se stimolate da sistemi di conference call di ultima generazione. Le nuove strategie di sviluppo dovranno essere frutto di un confronto ampio, allargato ai cosiddetti stakeholder che solitamente vengono invitati solamente alla presentazione dei piani o vengono coinvolti in iniziative di engagement che hanno una funzione più rendicontativa che strategica. In ogni azienda andrebbe strutturato una sorta di luogo o momento di pensiero in cui tutti coloro che sono coinvolti nella filiera (concetto tornato improvvisamente di moda nei dibattiti anche mainstream) larga dell’attività imprenditoriale possono dare il loro contributo in termini di bisogni, idee, proposte di percorsi condivisi e anche, solamente, presenza. Ciò, inevitabilmente, inciderebbe in termini di capacità di analisi dei bisogni e in termini di costruzione sana e radicata di nuove relazioni, più forti e quindi più capaci di resistere in un contesto più variabile e, sicuramente, più difficile. Questa strategia di confronto non dovrebbe limitarsi a iniziative strumentali di puro ascolto ma dovrebbe diventare qualcosa di fisico e costante. Dovrebbe, nel limite del possibile e a seconda delle dimensioni, mettere in gioco anche gli amministratori più consolidati che comunque si trovano ad affrontare oggi una situazione inedita, e rappresentare un tentativo di strutturazione relazionale nuova, che incida sullo stile gestionale e sulle modalità di composizione delle decisioni strategiche.
La conservazione dinamica dei patrimoni multiformi
L’immobilità a cui siamo costretti oggi, necessariamente, avrà ripercussioni in termini di spinta a muoversi una volta che l’emergenza sanitaria sarà finita. Spinta a muoversi e a muovere, come una molla che viene tenuta ferma per tanto tempo. Calandoci nell’ambito economico, anche le soluzioni che si stanno delineando per riprendersi dal fermo produttivo di questi mesi sembrano preludere alla necessità di smobilitare risorse e patrimoni per non farli erodere da fenomeni inflazionistici facilmente prevedibili.
Ciò inevitabilmente metterà in circolo una serie di risorse che, se ben veicolate porteranno ad evoluzioni in termini di partecipazione ad iniziative imprenditoriali e di condivisione del rischio interessanti. Se lasciando i risparmi, di cui diverse famiglie italiane sono ben fornite -perlomeno dalle statistiche questo emerge- sui conti correnti, essi andranno a deteriorasi, è prevedibile che molti risparmiatori cercheranno il modo di diventare investitori. Tale trasformazione però avviene in un contesto in cui i limiti che la frenavano prima dell’emergenza Covid (asimmetria informativa, scarsa fiducia verso gli intermediari tradizionali, poca propensione al rischio, ecc…) sono tali e quali oggi, se non addirittura incrementati da un timore generale verso il futuro. Perciò, gli investimenti che è più probabile attireranno l’attenzione dei nuovi investitori saranno quelli caratterizzati da quattro peculiarità: prossimità, capacità di coinvolgimento partecipativo, stabilità dei flussi e capacità di generazione di impatto.
Con prossimità si intende un ambito di sviluppo che, territorialmente o virtualmente, sia facilmente monitorabile dall’investitore. Quindi si parla di attività economiche inserite in filiere locali o, comunque, territorialmente delineate oppure gestite all’interno di piattaforme virtuali che permettano un costante accesso alle informazioni e agli andamenti.
La capacità di coinvolgimento, invece, si misurerà sulla possibilità di far sentire l’investitore partecipe di un processo di creazione di valore e di una filiera decisionale condivisa ed equilibrata. Modelli di governance democratica o cooperativa aiuteranno in tal senso, se caratterizzati da processi di accompagnamento e maturazione graduale dei soggetti interessati. L’investitore, infatti, non avrà sempre le competenze e l’esperienza per assumersi la responsabilità di prendere decisioni rispetto al progetto di attività economica a cui sta partecipando. Dovrà quindi essere incluso in processi formativi dilatati e di tipo empirico che gli permettano di partecipare in maniera equilibrata alla formazione delle decisioni strategiche, all’interno di procedure e strutture gestionali trasparenti.
La stabilità dei flussi sarà un’altra importante peculiarità che dovrà contraddistinguere gli investimenti diffusi che ragionevolmente si svilupperanno. Ciò sia perché è richiesta in un contesto generale di avversione al rischio, sia perché permetterà l’integrazione di redditi da lavoro che potranno essere minori o di rendite che potranno andare a diminuire, se non scomparire, nei prossimi tempi. Per assicurare questa condizione, sarà necessaria una tensione gestionale all’equilibrio finanziario forte ed un attento approccio verso le misure economiche espansive che vengono annunciate proprio in questi giorni. Inoltre, ci si dovrà concentrare su investimenti connessi ad attività produttive di beni o servizi che, per l’evidente e concreto valore generato, assicurino forme di remunerazione costante e continuativa (servizi alla persona, produzioni agricole inserite in filiere commerciali delimitate, asset condivisi di produzione energetica rinnovabile, iniziative formative finalizzate all’upgrade competenziale su ambiti professionalmente spendibili, ecc…).
Infine, ma non per minor importanza, la capacità di generare impatto multiforme su tematiche che riguardino l’interesse generale sarà la vera discriminante degli investimenti. La situazione di fragilità che tutti stiamo vivendo ci renderà inevitabilmente più sensibili rispetto alle varie forme di fragilità che il nostro contesto (sia nelle relazioni personali che con l’ambiente) presenta quotidianamente e offrirà motivazioni nuove affinchè sempre più persone se ne facciano carico in maniera responsabile e condivisa. Tale passaggio potrebbe sembrare utopistico ma ragionevolmente già si stanno delineando evidenze empiriche che lo rendono prevedibile. Le varie raccolte fondi finalizzate a specifici destinatari o scopi, le forme di acquisto responsabile, i servizi di prossimità ai più fragili gestiti a livello comunitario, perfino il ritorno a forme di pietà popolare fattiva sono preludio di un approccio nuovo anche nelle scelte di investimento.
Difronte a tale scenario, le iniziative di impact investing, venture philantropy e le più tradizionali forme di investimento mutualistico in cooperative o sottoscrizione di quote di fondi pazienti destinati ad iniziative di empowerment di organizzazioni social oriented avranno uno spazio sempre maggiore di sviluppo e la possibilità di inventare nuove forme di investimento responsabile e condiviso, magari passando da processi di coprogettazione con il mondo delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.
La nuova casa-bottega: servizi e professioni domus-centered
L’esperienza diffusa che in molti stiamo vivendo dello smart working presenta lati positivi e lati negativi. Al di là delle tempistiche necessariamente repentine che hanno portato a questa evoluzione lavorativa, sicuramente essa ha permesso una diminuzione dei costi logistici – nella loro concezione più ampia – e una maggior possibilità di vivere le relazioni affettive familiari dato il maggior tempo che si è potuto dedicare ad esse. Detto ciò ha anche generato qualche disagio, sia infrastrutturale, dato che non tutti potevano contare su strumentazione adatta[2], sia psicologico in quanto non sono più ben definiti luoghi e tempi diversi per momenti e contesti diversi ma ci si è trovati a lavorare in salotto, in cucina dove solitamente ci si rilassava o si cucinava e non sempre è facile staccare dal lavoro nel solito orario. Insomma, degli equilibri sono stati rotti ma le opportunità che questa evoluzione sta portando sono evidenti e molto probabilmente non scompariranno una volta ripristinata la normalità, perlomeno a livello di spostamenti.
La casa assumerà un ruolo ancora più rilevante nella vita delle persone, dovrà essere ripensata non solo come luogo di vita, di riposo, di piacere ma anche come luogo di studio e di lavoro. Dovrà essere non solo accogliente per gli amici e i parenti ma anche accessibile ai colleghi o ai clienti che vorranno mettersi in contatto virtuale con noi. Dovrà avere le infrastrutture necessarie a superare le difficoltà logistiche e psicologiche che stiamo vivendo. Ma, soprattutto, sarà un tema rilevante nell’evoluzione dei servizi, degli acquisti, delle scelte delle persone. Sarà una domus, un luogo ampio e diversificato nel quale verranno convogliati momenti, attività, esperienze che finora si svolgevano abitualmente al di fuori di essa. Tale fenomeno inevitabilmente inciderà sia su ambiti generali – come i consumi, le modalità di costruire, l’organizzazione dei processi e delle risorse umane, i contratti, ecc… – ma anche su ambiti più specifici come ad esempio lo studio di soluzioni abitative integrate ad infrastrutture che permettano di lavorare in efficienza (vd coworking integrati a cohousing, luoghi diffusi nei territori con connettività speciale, percorsi formativi diffusi sul digitale ecc…). Si dovrà ripensare a come far evolvere i nostri paesi e quartieri, a come farlo senza generare eccessive ripercussioni negative sugli equilibri personali e a come strutturare il lavoro in questo nuovo contesto. Ci saranno nuove case-botteghe, in cui il bancone sarà sostituito da portali, il laboratorio da software e il carretto da e-commerce. Ma ci saranno anche più case-botteghe, in quanto le scelte di consumo alimentare e, in generale, di servizi primari sarà rivolto a filiere vicine e, quindi, sarà inserito in luoghi relazionali più prossimi.
Sarà una Rivoluzione della prossimità, in varie forme e sensi, non per forza positivi ma da saper interpretare e, per quanto possibile, guidare.
Riflessione a cura di Riccardo Tessari
[1] https://www.ilsole24ore.com/art/se-l-emergenza-virus-costringe-una-dolorosa-selezione-ADPjmfG
[2]https://www.repubblica.it/economia/2020/04/06/news/istat_tutti_in_casa_ma_per_il_40_spazi_esigui_e_un_terzo_delle_famiglie_non_ha_il_computer-253271389/?fbclid=IwAR38Fp2chrHXmgTQZk3eAVIRnV9RRkYDVgGWjxDqyjv8mOr83vHUzHV4CGg