Il senso di frustrazione e di fallimento con il quale le persone si trovano a fare i conti in questi giorni, sembra divenuto abituale, un destino ineluttabile che però sembra non esistere, perché nessuno ammette l’errore. Così l’idea di fallimento si avvicina sempre di più all’idea della cancellazione.
Ma esistono diverse tipologie di errori. Non dovremmo avere paura di fallire e di riconoscere un fallimento, anzi, dovremmo considerarlo come un privilegio se riusciamo ad imparare e a “fallire al rialzo”. Il problema è che molto spesso i giovani subiscono gli effetti negativi di decisioni di altri e quando falliscono c’è un vero e proprio accanimento terapeutico nei loro confronti.
Gli errori dei “saggi” sembrano essere diversi dagli errori di un universitario o di un paziente, perché difficilmente il loro debito viene cancellato.
Questa lunga premessa serve solo come trampolino di lancio per capire come evitare alcuni errori quando parliamo del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non si è parlato altro in questo periodo che dei fondi provenienti dall’Unione Europea con il programma “Next Generation Eu”, impropriamente chiamato in Italia Recovery Fund perché sembriamo confermare la nostra allergia cronica alle giovani generazioni.
Non sono sicuramente briciole, perché parliamo di un’ingente quantità di risorse mai stanziate nella storia dell’Unione nei confronti di un Paese, 222 miliardi di cui 144,2 per nuovi interventi, che verranno declinati in diversi ambiti (digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute) e che sono urgenti da pianificare e realizzare.
Qui partiamo nel ricordare il primo fallimento al rialzo e il secondo fallimento al ribasso del lavoro realizzato in questi mesi.
Da una parte il piano è stato migliorato di molto rispetto alla sua prima stesura e chi dice che non ci sia una “visione” dietro, credo non abbia neanche letto i documenti. Poi se approfondiamo e capiamo che quella visione deriva in parte dai vincoli posti dall’UE (orientamento verso la digitalizzazione e transizione ecologica in primis) allora ci accorgiamo che si poteva fare di più, soprattutto sul ruolo del Terzo Settore, se pensiamo al suo ruolo strategico per la ricostruzione comunitaria.
Il grande fallimento al ribasso è stato quello dei giovani. E’ vero, non c’è un capitolo che possa in qualche modo far risaltare il loro ruolo ma non prevedere delle misure ad hoc per contrastare la sempre più dilagante povertà educativa presente nei nostri territori o la creazione di infrastrutture sociali, volte a supportare percorsi di inclusione lavorativa insieme a percorsi di autoimprenditorialità sociale, non è un buon risultato.
Sulla questione giovanile in Italia possiamo dare un po’ di numeri e parlare del 27,8% di under 30 ascrivibili alla categoria dei Neet, persone che né studiano né lavorano, si spendono tante parole. Nonostante questo parliamo dell’1% dei fondi europei destinati a questo tema.
Oppure, possiamo condividere i 250 mila giovani che in 10 anni hanno lasciato l’Italia, per una fuga all’estero costatata 16 miliardi, secondo i dati del Rapporto annuale sull’economica dell’immigrazione, al 27,8% di Neet presenti nella fascia di popolazione 20–34 anni, dati Eurostat, in confronto a una media europea del 16,4%.
Ma a criticare siamo tutti bravi. La questione per me fondamentale è quella di non inserire contenuti a caso per tappare vecchi buchi ma ripartire dalla costituzione di un forum deliberativo di consultazioni per sentire il parere e il consiglio di tutti quei soggetti che saranno i protagonisti reali di quel piano (Terzo Settore, giovani, imprenditrici, ecc..). Questi soggetti non devono mica avere l’ultima parola ma basta un sibilo prima della decisione finale che deve essere comunque presa dal Governo.
Il secondo fallimento al ribasso riguarda il nostro mondo associativo. Sento troppo alta la voglia di “gettare la spugna” perché non sia ha la capacità di incidere. Non è così. Bisogna continuare a insistere di più e vigilare perché la partita non sarà chiusa dopo la scelta dei progetti ma dall’implementazione degli stessi che utilizzeranno le risorse europee. Dobbiamo lottare per correggere le vulnerabilità, partendo dal capitale sociale presente nelle nostre comunità, e non concentrarci solamente su bonus e incentivi cotti e mangiati.
Forse, abbiamo bisogno di un (vero) percorso di Open Innovation.
L’Open Innovation riguardo l’uso di afflussi e deflussi intenzionali di conoscenza con l’intento sia di accelerare l’innovazione interna che espandere i mercati per l’uso esterno dell’innovazione. Questo paradigma presuppone che le imprese possano e debbano utilizzare idee esterne ed interne e [cogliere] opportunità di mercato esterne ed interne, mentre cercano di far progredire la loro tecnologia – Henry Chesbrough
La prima domanda è perché ne abbiamo bisogno? Per i motivi di prima. Viviamo un mondo in continuo mutamento e in una perenne instabilità politica. Per rispondere a bisogni sempre nuovi e con meno tempo per poterli affrontare e risolvere, bisogna reinventare l’approccio strategico all’innovazione.
Se pensiamo poi che l’innovazione è ancora oggi percepita come un qualcosa di stampo tecnologico, pensiamo ad esempio a quanto si parli di innovazione digitale senza curarsi molto di quella sociale, nonostante tutti gli indicatori che abbiamo a disposizione ci dicono che per innovare prima di tutto dobbiamo generare un cambiamento positivo per le persone e l’ambiente che ci circonda, allora capiamo che la prima cosa è cambiare mentalità (sia lato domanda che lato offerta).
Seppur con ritardo rispetto ai paesi europei più industrializzati, il modello dell’innovazione aperta si sta diffondendo anche in Italia. Guarda questi.
Zucchetti, ad esempio, è un gruppo con sede a Lodi che produce soluzioni software e hardware per aziende, banche, assicurazioni e professionisti, ha basato da tempo la sua strategia di open innovation sull’acquisizione di startup con un approccio da hub aeroportuale: le imprese acquisite sono come le compagnie aeree che utilizzano l’aeroporto, usufruiscono dei servizi e crescono grazie alle economie di scala e alla complementarietà
Oppure Natura Sì che attraverso la creazione di una rete con i propri produttori e le organizzazioni del Terzo Settore ha avviato un progetto di open innovation per valorizzare la sostenibilità dei suoi produttori. Questo porterà poi all’attivazione di una call for ideas con studenti universitari e giovani per co-progettare soluzioni condivise.
Anche un evento può essere un percorso deliberante. E’ un po’ quello che stato fatto dal FNEC per la creazione di tre tavoli di lavoro su equità sociale, rivoluzione verde e istruzione che in questi mesi hanno lavorato gratuitamente, mettendo a disposizione competenze enormi e un’energia bellissima. Frutto di questo lavoro è stato l’elaborazione di tre proposte che verranno presentate nei prossimi giorni alle istituzioni con le persone che ricopriranno quel ruolo.
Quarto esempio è il lavoro fatto dai giovani in questo periodo. Se pensiamo allo splendido lavoro fatto dai movimenti giovanili e studenteschi e a tutti i comitati informali che sono nati per proporre soluzioni e attivismo politico eccezionale.
I giovani, infatti, non devono essere trattati con arroganza ma devono essere coinvolti nel processo di apprendimento e il ruolo degli adulti o degli insegnanti è proprio quello di aiutarli a comprendere, magari cercando di tirar fuori tutto quello che sanno, ma non riescono a esternalizzare.
La vera sfida sarà questa.
Saremo in grado di imparare dagli errori passati e coinvolgere nella fase deliberativa i giovani per creare davvero un piano per le future generazioni che risulti coerente e partecipato?
Saremo in grado di parlare CON i giovani senza parlare dei giovani inserendoli come un capitolo nella rendicontazione complessiva di un lavoro che li ha nemmeno presi in considerazione?
Se qualcuno è in grado di prendere questa istanza e di portarla nel dibattito pubblico, ne sarei felice e rassicurerei sul fatto che non deve inventarsi nulla. Abbiamo nei nostri territori il talento e la passione necessaria per essere protagonisti e non spettatori.