Una delle cose che da sempre mi hanno più affascinato riguarda quell’attimo, quella spinta verso l’altro che caratterizza il primo momento del donare. Un po’ come quando un pittore traccia la prima pennellata sulla tela o quando un ceramista, seduto al tornio, abbraccia un po’ di creta umida con le mani e inizia a spingere col piede per avviare quel movimento circolare.

Il fatto è che ad un certo punto ci viene voglia di fare qualcosa che non può che cambiare il contesto: un gesto, un impegno, un’attenzione che sovvertono, creano colore, relazione. Non si sa davvero bene cosa accadrà, quali meccanismi si metteranno in moto, quale potrà essere il passo successivo. Eppure abbiamo il desiderio di creare, di provare, di rischiare qualcosa di noi. E qualunque sia il contesto, gli strumenti a disposizione, è comunque e sempre un bisogno di relazione che al tempo stesso è anche un bisogno di speranza. Perché, come diceva George Bernanos, la speranza è un rischio da correre, il rischio dei rischi. E sperare significa assumere su di sé anche la responsabilità di chi a sperare non riesce o non può. Ecco che un gesto del tutto spontaneo, individuale, può diventare un motore di relazione costruttiva, capace di colmare lacune, di rispondere a un bisogno latente, sommesso, magari nemmeno del tutto conscio.

Questo gesto che sembra un inizio in realtà è una risposta non scontata ad una domanda non espressa, o persa in questo caos dell’overload information. Un gesto che vede anche dove c’è solo rumore, confusione, perché cerca davvero l’incontro. In questo senso quel moto verso l’altro è sì un desiderio, e quindi un affetto, ma è anche un’attività, un farsi che parte da una consapevolezza e che permette di edificarsi in un progetto. Nella generatività, proprio come nel dono, incontriamo la speranza di un affetto che sa, che conosce e ancor più riconosce. Non tanto attraverso calcoli o pianificazioni, quanto per creare qualcosa che non c’è ancora e che diventa un ponte verso l’altro, con un pizzico di rischio.

E’ quel rischio, forse, che viene raccolto con un sorriso e che a poco a poco diventa un nuovo contesto di relazione, in cui dare forma alla generatività e così uscire dal presente.