Pro Veritate, adversa diligere.

Il motto del cardinal Martini risuona da sempre nella mia vita, come credente in difficoltà, come uomo di scienza e di lavoro. Da sempre quell’uomo attraverso queste parole di Gregorio Magno, mi parla e mi fa commuovere perché da un lato illumina tutte le mie limitazioni personali, tutte le mie scelte di comodo, dall’altro mi da speranza nel lavoro su di me, lavoro che da sempre si svolge soprattutto nei miei periodi di crisi.

Pro Veritate. Pro, questa preposizione latina che specifica vantaggio, essere davanti, mette o porre davanti, indica che la Verità, non una verità, ma la Verità con la V maiuscola, deve essere l’obiettivo che ci spinge ad affrontare, anzi, a scegliere le avversità della vita. Una verità che nel mio caso non si ricollega solo ai grandi dibattiti filosofici o alla Verità cristiana, ma è un metodo di ricerca della mia vita, affrontare le avversità. Non è un fattore eroico ma è una scelta di vita, un giocare sull’essere autentici, scavare, scoprire per poter essere. Ed è una scelta da essere umano, da persona, prima che si incarni qualsiasi altro ruolo della propria vita.

Ma è anche una delle caratteristiche dell’imprenditore, da sempre, da quando è nata nel dopoguerra l’imprenditoria italiana familiare, da quando sono nati gli imprenditori artigiani, piccoli e medi. Non persone normali ma “gente in contatto”, inserita in comunità di confronto, che conosce il proprio lavoro e che ha i contatti diretti con i clienti come insegna Stefano Micelli. Ma gli imprenditori sono anche esseri umani che non si sono mai fermati di fronte alle difficoltà, che hanno sempre cercato soluzioni.

Qui però siamo di fronte a qualcosa che ha minato e sta minando psicologicamente le nostre vite, aggredendo la nostra socialità, fino a costringerci in solitudine a casa. La reazione è lampante per tutti, stiamo ricercando il contatto, anche solo attraverso i nostri smartphone o i nostri PC. Stiamo ricercando solidarietà.

E quindi, di fronte a questo scenario, riprendendo il motto del Cardinal Martini, io scelgo la lectio difficilior della realtà, in cui per superare questa crisi non basteranno gli aiuti del governo e non basteranno nemmeno gli investimenti e gli eurobond. Non basteranno le casse integrazioni, non basteranno gli smartworkers o i lavoratori nei supermercati, nelle farmacie e nelle aziende che continueranno a lavorare.

Riprendendo Arjun Appadurai, serve immaginare in maniera collettiva il futuro, immaginare insieme in questo momento che futuro vogliamo, per noi e per i nostri figli. Chiederci dove vorremmo vivere, in che modo vorremmo vivere, soprattutto per evitare di perpetrare queste paure che stiamo vivendo. Tocca a noi quindi rispolverare i rapporti interpersonali e le comunità di appartenenza ma cercando un senso diverso a quello che facciamo. Cercando di uscirne con quella solidarietà che oggi ricerchiamo così avidamente nei nostri cellulari.

Sarà la cosa più difficile, sarà la cosa più bella.

E ci toccherà lasciare andare, perdere, far morire alcune non libertà egoistiche che ci siamo costruiti nelle nostre vite per poter accedere alla solidarietà di cui tanto abbiamo bisogno. Ma perdendo e lasciando andare le abitudini più tossiche, creeremo un ambiente in cui potremo prenderci cura gli uni degli altri, facendo morire così le nostre paure.

Anche all’interno dei nostri luoghi di lavoro e di impegno.

Anche nei nostri modelli di business, anche con i nostri clienti e i nostri fornitori, anche con i nostri collaboratori.

È il momento quindi di scegliere perché crisi deriva dal greco “krìsis” che significa scelta. È il momento di esplorare nuovi mondi, di formare nuove capacità di relazione, di comunicazione di aiuto. Quante società di consulenza e di formazione stanno “regalando” e “offrendo” i loro servizi? Quanti professionisti si sono attivati per andare incontro alle difficoltà della gente?

Io questo non lo leggo solo come una forma di pubblicità di se, ma lo leggo come la voglia di aiutare. Ammetto che per alcuni sarà il modo per farsi nuovi clienti, ma non durerà se fosse solo per quello. Occorre investire, non solo keynesianamente, in questo momento di crisi, ricercando quelle competenze, capacità e modelli che possono farci uscire da questo momento senza che la paura mini alla base il nostro vivere.

Si tratta di scegliere il nostro futuro, scegliere dove vorremmo essere e costruirlo. Da qui vorrei ripartissero le nostre aziende, le nostre Piccole-medie, i nostri artigiani, i nostri lavoratori. Da qui, dall’immaginare il proprio futuro, immaginare dove vorrebbero portare questo meraviglioso paese. E iniziare a costruirlo, lavorando con la propria comunità, lavorando insieme, creando legami e distruggendo quell’egoismo di fondo che li costringeva a piccole cose.

Si tratta di ricostruire il tessuto connettivo del nostro paese, non rincorrendo la tecnologia ma attraverso essa.

Si tratta di partecipare alle decisioni della cosa pubblica, di impegnarsi nella propria comunità di riferimento, nel proprio gruppo sociale, nella propria città.

Si tratta di creare legami che siano sempre più forti all’interno dei nostri contesti, si tratta di sviluppare solidarietà.

Si tratta, ora più che mai, di essere generativi, ricercando la via più difficile per raggiungere la nostra autenticità.

Si tratta di essere Italiani.