Prima di far scivolare le dita sui pulsanti della tastiera, per fissare qualche pensiero sul tempo nuovo che stiamo vivendo, ho riascoltato «Cosa sarà» di Lucio Dalla. D’istinto, pensando al futuro carico di interrogativi e incognite, ma anche di opportunità, l’ho modificata in un «come sarà».
In queste settimane di lockdown siamo stati toccati nel profondo umano, storditi da una luce abbagliante che ci ha mostrato, d’un fiato, le molte fragilità sociali e relazionali esistenti. Siamo stati gettati nello sprofondo economico-sociale perché privati o feriti nel lavoro. Siamo desiderosi di ripartire dal fondo di un contesto sociale, economico e culturale molto complesso.
Ecco che, il «come», presente nelle nostre domande, ci porta a una responsabilità diretta di ciascuno di noi e, conseguentemente, dentro ogni forma organizzata della vita sociale in cui siamo presenti.
Se, come spesso si dice, «nulla sarà come prima» dobbiamo partire dal fatto che il punto di approdo cui dobbiamo tendere dev’essere diverso dal «tornare al via», come quando nel “gioco dell’oca” impattiamo nella fatidica casella che cancella il percorso sin qui fatto.
Il primo punto che mi sento di fissare è il «noi», prima persona plurale. È la posizione verbale che dovremmo stabilmente anteporre all’«io». Oltre che uscire dal loop dell’individualismo (delle persone e delle organizzazioni) che ci ha “distratti” negli ultimi decenni e aprirci a una dimensione collettiva, credo sia fondamentale ribaltare il nostro punto di vista decidendo che il ben-essere e il ben-vivere personale passa attraverso la realizzazione del ben-essere e ben-vivere della comunità, e non viceversa.
La seconda provoc-azione che mi attingo ad accogliere è che ogni prospettiva di futuro sta nella nostra capacità di ri-definire l’intero processo educativo-formativo-istruttivo delle nuove generazioni lavorando, tutti assieme, per studiare, e sperimentare, una proposta di «scuola di vita» integrale e interconnessa con ciò che e presente nel territorio, sia sul piano architettonico-paesaggistico che di vita sociale (dai luoghi di lavoro a quelli legati alla cultura, alla sfera del welfare e a quella civica). Un investimento decis(iv)o e strategico.
La terza sollecitazione riguarda i mondi produttivi che, assumendo un ruolo di impresa-comunità, possono essere motore e guida di un nuovo rinascimento nel quale le performance aziendali si compongano di un ibrido tra risultati economici e sociali. Non è uno sprono dettato da logiche etiche e solidali ma nasce dentro la convinzione che il presupposto per le imprese competitive è poter operare in un territorio-comunità competitivo.
A tutto ciò è necessario aggiungere una cornice collettiva di senso, capace di guidare e indirizzare i significati del nostro agire in relazione con gli altri dentro (finalmente) alla consapevolezza che siamo tutti interdipendenti, sia come persone che rispetto all’ambiente. I segnali che il nostro mondo, la nostra società, la nostra umanità non se la passassero molto bene ci erano noti prima del Covid-19, testimoniati dal crescente diffondersi, nel dibattito e nei comportamenti, dei 17 obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile.
Gli effetti traumatici di questa pandemia globale in piena evoluzione (per questo siamo ancora in-Covid) ci dicono a chiare lettere che abbiamo bisogno di una cura seria e profonda per non rischiare di diventare malato terminale.
Siamo pieni di risorse, capacità e creatività. Dentro questa sfida, credo decisiva, sta a noi dimostrare di saper tornare a essere una comunità generativa, capace di sognare e di mettere al mondo una nuova idea di Paese, dando spazio a (e desiderio di) nuovi figli.
Dopo tanto affannare potremmo forse scoprire che il “bello della vita” può ancora arrivare.
L’articolo è stato pubblicato dal settimanale diocesano “La Voce dei Berici” del 28 giugno 2020