Le idee-guida che abbiamo evidenziato nei post precedenti come pilastri della ricostruzione della governance nelle organizzazioni che vorranno essere protagoniste generative della ricostruzione nei prossimi anni sono dei concetti vitali e propulsivi, dei nuclei generativi che determinano una riscrittura radicale delle funzioni chiave della governance delle persone e delle organizzazioni.
Esse sono: Etica, Pensiero, Soggetto, Legame, Tecnologia, Saggezza
Le 6 funzioni chiave del management, che queste idee guida trasformano profondamente, sono:
- Orientare (Purpose)
- Organizzare (Organizing)
- Responsabilizzare (Responsibilizing)
- Apprendere (Learning)
- Integrare (Integrating)
- People Managing
In questo contributo ci occuperemo della funzione di organizing.
Nella visione della governance sostenibile e generativa l’organizzazione di strutture e processi di lavoro è oggetto di un profondo ripensamento.
Nell’epoca neomanageriale questa funzione è stata nella sostanza ispirata al principio tayloristico della separazione tra progettazione ed esecuzione, secondo il quale la distribuzione del lavoro prevedeva la responsabilità del design attribuita ai vertici direzionali e quella dell’esecuzione al personale operativo. Nel trentennio neoliberista questa impostazione si è progressivamente radicalizzata dando vita a forme esasperate di neotaylorismo comportamentale digitalizzato e psicologizzato, nelle quali i lavoratori vedono prescritto ogni atto professionale fino ai comportamenti di relazione e di auto-organizzazione.
Nella logica neotayloristica l’organizzazione è pensata come statica e disegnata una tantum da chi ne ha la responsabilità.
Nella prospettiva sostenibile e generativa l’organizzare è ripensato in chiave processuale e continua, come una responsabilità condivisa e permanente: si transita da organizzazione come design rigido e verticistico a organizing come processo sociale continuo di riflessione, ripensamento, affinamento e rinegoziazione.
Il lavoro di organizzazione in questa prospettiva diviene un lavoro continuo, del quale sono responsabili anche i soggetti titolari delle posizioni e delle professionalità.
Il lavoro di organizzazione sostenibile sarà allora ispirato dall’etica della responsabilizzazione diffusa e del confronto dialogico e riflessivo, che superi il paradigma della prescrizione unilaterale taylorista.
Il lavoro di organizing è ridefinito come un lavoro del pensiero degli attori in collaborazione gli uni con gli altri, per il quale sarà necessario istituire e legittimare gli spazi e i tempi, considerandoli a tutti gli effetti come spazi di lavoro essenziali al funzionamento organizzativo. L’organizing richiede un investimento sulla capacità di pensare-insieme dei professionisti.
Chiamare gli attori organizzativi a costruire pensiero progettuale nei luoghi organizzativi a questo dedicati significa riconoscerli come soggetti portatori riflessivi di un’esperienza, di competenze, di risorse ideative e di identificazioni generative con il proprio lavoro e con l’organizzazione.
Pensare insieme ai colleghi negli spazio-tempi organizzativi appositamente allestiti, ascoltarsi, confrontarsi, riflettere, progettare, proporre, sperimentare significa anche riconoscersi reciprocamente ed essere riconosciuti dall’organizzazione come soggetti riflessivi responsabili, pensanti, proprietari e autori del proprio lavoro, identificati con le finalità organizzative e capaci di innovare per perseguirle.
Questo lavoro insieme sviluppa legame degli attori tra loro e con l’organizzazione, perché riconosce il lavoro come un vivere insieme e un costruire insieme, nel riconoscimento reciproco.
Il lavoro di organizing dovrà tenere conto della portata rivoluzionaria delle tecnologie informatiche, esplorarne le potenzialità e sfruttarle in modo diverso dal progetto neotaylorista che le ha esclusivamente arruolate per potenziare il progetto dell’execution e del controllo.
Il lavoro di organizzazione, la sua promozione, la sua gestione, la sua valorizzazione sarà l’occasione per l’esercizio di quella saggezza manageriale che è così vistosamente mancata negli ultimi decenni sotto la spinta della pressione per la redditività finanziaria, una saggezza che riconosca la complessità del lavoro sia dal punto di vista umano, relazionale, culturale e istituzionale e sia capace di mettere una intelligente comprensione di questa complessità al servizio delle finalità che presiedono all’esistenza delle imprese ossia la produzione di valore per tutti gli stakeholder coinvolti.
L’organizzazione sostenibile e generativa come processo di organizing
E’ importante porsi una domanda inusuale data la apparente ovvietà della risposta: cosa è il lavoro?
Il lavoro non appartiene alla sfera della mera attività e della produzione, ma possiede a pieno titolo lo statuto dell’agire.
Il lavoro inevitabilmente e intensivamente, mobilita l’agire morale e pratico, orientato al vivere insieme, e l’agire espressivo, che mette in gioco profondamente le dimensioni identitarie. Il lavoro si sviluppa in tre sfere interdipendenti, quella fisica, quella sociale e quella soggettiva e può essere pensato e valutato solo attraverso criteri e categorie che si riferiscano a tutte queste diverse sfere della vita.
Il lavoro come confronto con il reale, con la sua resistenza, convoca in profondità l’intelligenza e il coinvolgimento della soggettività, esso implica dei gesti, un saper fare, un coinvolgimento del corpo, una mobilitazione della capacità di riflettere, di interpretare e di reagire alle situazioni, nonché di agire, anche nel senso politico, assumendo iniziative. Lavorare è collocarsi al centro della divaricazione perenne tra il prescritto e il reale, è cercare di colmarla interpretando le prescrizioni per raggiungere gli obiettivi. Esso non è quindi una mera opera di produzione, ma è al contempo un’opera di interpretazione del reale, di agire creativo, di trasformazione di sè stessi. Si lavora sempre con altri e per altri, ma anche dentro di sé, il lavoro è sempre una attività sociale, cooperativa, collettiva e insieme psicologica..
Per tutti questi motivi il lavoro è uno spazio insostituibile di mediazione psicologica e identitaria. Il lavoro è il solo principio pacificatore nella vita ordinaria, uno spazio nel quale l’uomo apprende a negoziare, costruire una regola condivisa, scopre la vita sociale e al contempo accresce la propria padronanza del mondo.
Il lavoro permette agli uomini di incontrarsi, di vivere insieme, di evitare la violenza confrontandosi insieme con il reale, immaginando insieme delle soluzioni, trovando dei compromessi, costruendo solidarietà che istituiscono regole del vivere insieme.
Non c’è organizzazione che non affermi di investire per coltivare le competenze dei suoi membri. La prospettiva della sostenibilità generativa richiede tuttavia di dare priorità allo sviluppo delle capacità di comprendere i problemi e i fenomeni della vita organizzativa, analizzarli, definirli, interpretarli. In altre parole la prima capacità oggetto di sviluppo dovrà essere quella del pensiero, della ricerca, dell’esercizio attivo dell’intelligenza applicata alla vita di lavoro. La finalità di sviluppo prioritaria sarà la capacità di pensare nell’esperienza di lavoro, perché al pensare, al ricercare, all’esercizio della propria intelligenza è collegato un piacere primario. Connessa alla capacità di pensare è la capacità di riflettere sull’azione compiuta, sui suoi effetti e sulle sue implicazioni.
Investire nella coltivazione del triangolo pensare-agire-riflettere significa assumere una finalità educativa profondamente diversa da quelle perseguite oggi diffusamente nei processi formativi promossi dalle funzioni HR. Oggi e da alcuni decenni le funzioni del personale si orientano infatti ad una pratica formativa basata sulla promozione dell’allineamento a modelli comportamentali precostituiti e spesso non specifici rispetto ai singoli contesti, un esercizio che non promuove l’uso dell’intelligenza.
Promuovere e legittimare il “lavoro di organizzazione”.
Autorizzare a pensare significa legittimare deleghe, proposte, letture, cambiamenti, innovazioni, autonomie e operare per la costruzione delle condizioni affinchè i soggetti possano esprimere pienamente il proprio potenziale di pensiero e iniziativa. Il management autorizzante, nonostante il dilagare della retorica superficiale del coaching, costituisce una frontiera della leadership ancora da esplorare davvero.
Assumere come obiettivo la promozione della sostenibilità generativa significa in particolare riconoscere l’importanza decisiva del promuovere ciò che definiamo “lavoro di organizzazione”, o “organizing”, ossia il lavoro sociale e collettivo di riflessione e interpretazione dell’esperienza lavorativa e di costruzione di principi, procedure e regole condivisi in grado di orientare l’azione professionale dei soggetti.
Questi spazi, in cui gli attori possano riflettere insieme e discutere sulla loro esperienza di lavoro reale, ma anche armonizzare e sintonizzare il loro operato, risolvere problemi, assumere decisioni e stabilire regole che orientino l’azione, sono spariti, in numerose organizzazioni appaiono letteralmente e radicalmente estinti e anzi visibilmente osteggiati come una inessenziale inefficienza. Tale cancellazione degli spazi di deliberazione collettiva costituisce una grave compromissione della qualità del vivere insieme e del capitale sociale e fiduciario, che sospinge i soggetti in una logica del ciascuno per sé segnata dalla solitudine e dalla desolazione, agendo certamente come un fattore di insostenibilità.
L’estinzione dei luoghi di elaborazione sociale dell’esperienza di lavoro ha conseguenze profonde sul piano della sostenibilità e generatività e quindi sul piano dell’efficacia del funzionamento organizzativo, effetti che restano ad oggi nella penombra di un angolo cieco, largamente impensati ed analizzati.