La quindicenne svedese che ha innescato il movimento globale per il clima ne è convinta: «non possiamo né dobbiamo rassegnarci, dobbiamo spingere chi governa a cambiare le cose o non ci sarà futuro». Una lezione di attivismo e speranza che, oggi, vedrà manifestazioni in 1300 città nel mondo, 140 in Italia.

È il 20 agosto del 2018 quando Greta Thunberg, studentessa svedese di quindici anni, non si presenta a scuola. Greta è davanti al Parlamento, si siede e con un cartello inizia la sua protesta: «il clima è il nostro futuro, state distruggendo il pianeta, ci state rubando il futuro».

Greta non si ferma, ogni giorno è lì, a ricordare a chi governa che non può più farlo senza responsabilità. Governare è un peso, qualcuno lo deve pur dire. Lei lo dice e la scuola può aspettare. Greta continua così fino alle elezioni parlamentari di settembre. Poi, si presenterà ogni venerdì. Stesso posto, stessa ora, stesso tema: l’ambiente, la “casa comune” come l’ha chiamata Papa Francesco. La cosa non finisce, non ha voti né consenso da “capitalizzare”. Non c’è da passare all’incasso, tutt’altro. La chiarezza di questa ragazza trasforma una protesta solitaria in attivismo comune. Poco alla volta, ma con progressione geometrica, infatti, in tutto il Paese e, poi, in quelli vicini, suoi coetanei la seguono. La cosa non finisce, anzi si allarga. Europa, Australia, gli Usa. Il mondo.

«Piccola, timida», silenziosa e invisibile. Così la descrive Somini Sengupta sul New York Times: zero chiacchiere. I riflettori ci sono – è inevitabile – ma Greta non cerca il centro della scena. Tutta questa attenzione per lei significa soltanto una cosa: «la gente sta ascoltando, la gente sta capendo».

Oggi c’è chi le vorrebbe assegnare il Nobel per la Pace. Ma lei non si scompone: «Noi siamo giovani, ce lo dicono sempre. Siamo impazienti, ma non possiamo aspettare. Possiamo solo manifestare perché gli adulti si muovano: tocca a loro agire, per salvare il pianeta».

Greta Thunberg ha rotto gli schemi. Li ha rotti con la più radicale – e semplice – delle scelte: ha diviso il sì, dal no. Chi c’è e chi non c’è. Chi agisce o spinge ad agire per il bene comune e chi, al massimo, firma qualche manifesto inutile. È partita da sola e la sua protesta è diventata globale. Think globally, act locally, pensa globalmente, agisci localmente – si diceva un tempo. Non è più così, Greta lo dimostra. Problemi globali richiedono soluzioni globali. Il clima, l’effetto serra, la devastazione delle terre, il landgrabbing sono problemi globali a impatto differenziato. Chi è ricco – ma per quanto? – ne trae ricavi, gli altri pagano il conto. Ma alla fine, il conto, lo pagheremo tutti.

Per fare la differenza, «dobbiamo parlare chiaramente, anche se può risultare scomodo perché chi governa parladi crescita senza fine». Ecco la stoccata: «parlare di crescita anche quando si parla di green economy, signiica andare avanti ma con le stesse idee sbagliate che ci hanno portato a tutto questo. Ma a me non importa di risultare impopolare, mi importa della giustizia climatica e di un pianete vivibile. La civiltà viene sacrificata per dare la possibilità a una piccola cerchia di persone di continuare a fare profitti. La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a pochi di vivere nel lusso».

Tutto è partito il 20 agosto 2018. Dalla Svezia si è propagato il Australia, dove il 20 novembre migliaia di studenti sono scesi in piazza per manifestare mentre il primo ministro Scott Morrison li invitava a tornarsene a scuola. «Non possiamo più tornare indietro», dicevano gli studenti di Stanford nel 1968. Le cose sono diverse, le realtà anche. Ma indietro, comunque lo si voglia vedere, ragazze e ragazzi australiani non sono tornati.

Anzi, il movimento dei giovani attivisti per il clima si è esteso agli Stati Uniti dove da dicembre, ogni venerdì, la teredicenne Alexandria Villasenor non si presenta a scuola, per manifestare davanti alla sede delle Nazioni Unite di New York. Poi è toccato al Belgio, alla Svizzera (dove Greta e altri ragazzi sono stati invitati al World Economic Forum di Davos), al Regno Unito. Fino allo siopero globale che domani toccherà tutti i Paesi del mondo, Italia compresa.

A Cop 24, il forum sul clima che si è tenuto in Polonia nel dicembre scorso, si è presentata così: «Il mio nome è Greta Thunberg, ho 15 anni e vengo dalla Svezia». Non c’è altro da aggiungere, su di lei. Se non le sue parole: «Vengo dalla Svezia, che molti credono un piccolo paese. A loro non importa cosa facciamo. Ma io ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. Se alcuni ragazzi decidono di manifestare dopo la scuola, immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo volessimo veramente».