Approcciarsi in modo generativo alla formazione significa forse scoprire un nuovo paradigma?
Se vogliamo ritrovare un indirizzo teorico-pratico con cui guardare alla formazione dobbiamo prima di tutto tenere fede ad uno dei presupposti della generatività: vedere con occhi nuovi la realtà. Non vogliamo quindi reiterare i vecchi slogan per cui siamo in tempo di crisi non solo economica ma anche ideale, sociale, culturale che coinvolge anche i sistemi formativi ma ribaltare le posizioni: noi osserviamo la realtà secondo i comportamenti e i trend positivi che la contraddistinguono. Dagli ecosistemi sino alle organizzazioni si ricercano sostenibilità, viabilità, benessere e innovazione come motivano i trends che governano la comunicazione globale: l’interazione, l’emergere della società civile, il soft power, l’avanzare della cooperazione. Se intendiamo quindi dare valore a questa crisi possiamo dire che essa comporta la richiesta di saggezza tanto che Drucker ci parla di era della saggezza. Fare questo significa abbracciare la complessità del reale attraverso la generatività: il tempo in cui viviamo è un tempo complesso, contrassegnato da una complessità organizzante (connessa sempre a sistemi adattivi) e la generatività è un paradigma in grado di ricostruire un nuovo modo di pensare le scienze umane che sia anche un nuovo modo di pensare nella complessità. In particolare quando si parla di educare e formare i propri simili non possiamo prescindere dalla condizione umana, dal suo rapporto con quanto la circonda (natura) e dall’interazione con la realtà in cui vive. Parlare di formazione in termini generativi significa quindi parlare di sistemi complessi, inseraparabili e considerati nella loro complessità, completezza e unicità. Sicuramente il compito di tutti i sistemi formativi è occuparsi della produzione di apprendimento che vada oltre il mero concetto di creatività (Ken Robinson si sofferma molto su questo aspetto) fine a sé stessa e riprenda invece i concetti di riflessività, direzionalità, orientamento al valore. Manca quindi un’educazione e formazione che preparino all’epoca della saggezza cioè a ragionare su nuovi scenari, stili di vita e di sviluppo sociale e tecnologico a partire dallo stato del mondo in cui viviamo.
Il termine generatività che ha un uso molto marcato nelle scienze umane (libertà generativa, welfare generativo, pensiero generativo, apprendimento generativo) presuppone proprio una produzione di conoscenza ed esperienza che attenta al futuro perché orientata al valore non solo per sé ma anche per altri. La fondazione epistemica della generatività è facile perché corrisponde pienamente ai canoni esposti da Jorg (2011) quando parla di paradigma della complessità per la complessità della formazione. Essa si presta ad esserlo perché guarda a: trasfenomenicità cioè ricerca quanto mette in rapporto predisposizione genetica, esperienza, strumenti simbolici e culturali, biosfera attraverso expertise e metodologie; transdisciplinarità perché trascendere i limiti disciplinari; interdiscorsività perché trova le connessioni/le compatibilità tra ambiti disciplinari; la connessione tra etica della cura, responsività e responsabilità; garantire il rapporto tra teoria e prassi. Abbiamo dunque un paradigma eco-bio-antropologico che è a tal punto connesso alla complessità da seguirne le leggi. Si pensi al principio del content – indipendent (si guarda alla relazione più che al contenuto); alle leggi dell’emergenza per cui il livello superiore in un sistema complesso è generato dall’interconnessione di quelli inferiori le cui interazioni danno tuttavia origine all’inatteso; alle leggi sull’isomorfismo per cui il livello biologico spiega quello psicologico e sociale. Quindi guardare in termini generativi alla formazione significa assolvere al compito di rendere i soggetti umani capaci di vivere in modo eticamente, socialmente ed ambientalmente sostenibile perché è tempo che si riesca a progettare il proprio futuro non limitandosi alla propria cerchia ristretta ma portando valore ad altri.
In questo modo un approccio generativo da soddisfazione ai bisogni umani (dimensione di contenuto) e alla governance che è connessa ai cambiamenti sociali e ambientali (dimensione di processo), conduce all’aumento delle capabilities e dell’accesso alle risorse (dimensione di empowerment).
Perché possiamo dire questo? Perché a livello sia teorico che pratico, nella letteratura pedagogica, si assiste al recupero e all’integrazione nella generatività di quanto è stato fatto nella ricerca, in particolare statunitense, negli ultimi anni. Abbiamo tre limiti e orizzonti di senso entro cui si sviluppa:
- un orientamento verso l’evidence based in cui si intrecciano teorie neuroscientifiche e le teorie dei sistemi come dimostrano gli studi statunitensi di Mayer & Fiorella (2014,2015) sulla generatività in educazione;
- un’attenzione alle community che si connette alle ground theory, alle teorie evoluzioniste, alle teorie dell’azione sino al capability approach per confermare come a tutti i livelli si parli di intersoggettività, cura e responsabilità;
- un recupero delle principali teorie dell’apprendimento che vanno dal costruzionismo al costruttivismo (Papert, Gergen, Piaget, Bruner, Vygotskij) perché non si parla solo di processi ma anche di artefatti.
Come già scritto in Dario (2015), questo richiede la rivalutazione sul senso dell’incontro tra soggetti, sulla capacità di apprezzare e soprattutto riconoscere il possibile; sulla creazione di spazi per il rinnovamento, per il pensiero, per il dissenso e sull’immaginazione come scoperta e/o ricerca del limite oltre il quale spesso si cela un’opportunità.
Torneremo più avanti sui processi formativi che permettono la generatività a più livelli. Per ora ci sembra opportuno affermare che è nato un nuovo paradigma per la pedagogia e forse per le scienze umane!