Edward O. Wilson paragonava le istituzioni ai formicai, vale a dire strutture in cui i componenti agiscono imitando il comportamento delle tribù di formiche. Ciò non può essere del tutto vero.
C’è qualcosa che distingue la specie umana da quella animale: il poter dire di no e l’essere capaci di porre delle domande – che sono proprio all’origine delle istituzioni create dall’uomo.
Dove ci conduce questa chiave di lettura?
Ecco che le istituzioni umane sono da intendersi come strutture vissute in modo continuamente interrogante e non routinario, sottoposte quindi al continuo cambiamento, al riciclo dell’istituito col nuovo istituente.
Più che l’immagine del formicaio, si addice loro il concetto di “abitare la semiosfera” che propone Jurij M. Lotman: vanno delineate in quanto luogo di esplosioni, caratterizzate quindi da discontinuità e da domande inconsuete – ed è proprio questo connubio che porta alla nascita in senso stretto delle istituzioni e alla riproduzione di ciò che esse generano.
Quali sono allora le potenzialità specie-specifiche dell’essere umano, considerato essere istituente?
In quanto umani siamo portatori di intersoggettivitá originaria, caratterizzati da un Io che non esiste senza un Noi e costantemente impegnati nella relazione con l’Altro. Siamo dipendenti dalla memoria, dalla storia, dalle rassicurazioni – elementi che spesso fungono da resistenza all’innovazione. Al contempo, siamo parte di un processo di “compassion fade”, la tendenza a sperimentare una diminuzione dell’empatia man mano che aumenta il numero di persone che necessitano di aiuto.
Nonostante la compresenza di questo dualismo, in quanto esseri umani siamo capaci di “mettere al mondo il mondo”, di esser creativi, di comporre e ricomporre i repertori già disponibili (ricordiamoci sempre che nulla si crea dal nulla).
Qual è in ultima analisi l’impulso che dà vita alle istituzioni?
È fondamentale in primis approfondire il concetto di bellezza, intesa non in senso cosmetico, ma come – per dirla con Gregory Bateson – dimensione estetica “che presidia la struttura che connette”. Una struttura che contrasta l’entropia (intesa come disuguaglianza e frammentazione), che rivela le connessioni in tutte le cose, la verità che c’è dietro.
Ecco che l’esperienza estetica è quindi esperienza sociale, frutto di processi socio- educativi.
E cosa ha a che fare con la nascita delle istituzioni?
Decisamente molto, poiché la bellezza è intesa come risonanza interna fra soggetto-soggetto e soggetto-mondo, capace di produce un’estensione misurabile in termini di possibilità di verifica neuro-fisiologica dell’esperienza estetica (e sociale).
In poche parole, la bellezza è in grado di estendere ciò che ognuno di noi sente di essere, ciò che ognuno sa di essere. Ed è proprio qui che entrano le istituzioni (famiglia, città, quartiere e molte altre) con il loro ruolo: la loro capacità ospitante si traduce in carne e pensiero degli esseri umani.
Prestiamo attenzione alle vie di accesso alla creatività e alla bellezza: sono condizioni necessarie per generare e rigenerare strutture che sappiano farsi portavoce dell’urgenza odierna di creare un mondo nuovo, davvero sostenibile, che sia concretamente accogliente e inclusivo per tutti.
* dall’intervento di Ugo Morelli al ciclo di seminari online “Istituzione e Vita” – sintesi non rivista dall’autore