Un suggerimento per un dono di buon auspicio in questo inizio d’anno: un dizionario etimologico. Etimologia, da étimos, viene dal greco eteos, che significa ‘vero’, e da una radice sanscrita che significa ‘ciò che è’. Ritornare all’etimologia è perciò un movimento di verità, che ci aiuta a far resistenza a tante derive dell’uso del linguaggio che inquinano la sfera pubblica e scolorano o avvelenano la comunicazione e i rapporti tra noi.

Da una parte la tendenza a un ‘lavaggio’ delle parole, a una loro sterilizzazione che ne fa sbiadire il senso e perdere il sapore, rendendole flessibili a qualunque utilizzo (pensiamo a parole come amore, libertà, popolo…) riducendole così a un insieme di etichette edulcorate, gusci vuoti, bandierine ideologiche. Anche l’appello ai ‘valori’ in questa prospettiva rischia di ridursi a una stucchevole e vacua retorica: come scriveva Michel de Certeau, «parole svuotate che nascondono il cadavere di ciò che designavano».

Dall’altra parte, trasformare le parole in armi da brandire contro qualcuno, in una schermaglia dialettica il cui unico scopo è prevalere, sconfiggendo e neutralizzando ogni posizione altra, è anch’esso un modo di tradire l’anima simbolica del linguaggio umano. Rischiamo sempre di dimenticare che la parola ci abita, ci convoca, ci lega: dia-legein è rilegare ciò che a uno sguardo superficiale parrebbe irrimediabilmente separato, trovando forme nuove e più alte – per quanto sempre in divenire – di ricomposizione. L’etimologia ci ricorda che sopra le parole si depositano patine che vanno scrostate, perché il potenziale significante torni a brillare. E soprattutto che l’origine ci richiama a quella radicalità della parola che interpella, che «strappa il cielo da est a ovest» (come scriveva Pavel Florenskij); una radicalità che fonda anche un’etica, ponendo un limite alla manipolabilità totale e all’uso strumentale e ‘diabolico’ – di qualcuno contro qualcun altro.

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