“La pandemia ha travolto le nostre vite, mettendo in discussione tutte le nostre abitudini e amplificando le tensioni latenti che erano già presenti nelle nostre società. Improvvisamente ci siamo ritrovati a vivere isolati, con poche interazioni sociali e limitati contatti umani. Le nostre città, luogo per eccellenza della socialità e della vita comune, si sono spente e svuotate. I giovani si sono improvvisamente ritrovati in home working, privati dell’opportunità di edificazione di quel capitale sociale fondamentale per diventare persone adulte. Questa pandemia sfida proprio loro, i giovani, a ripensare nuove modalità relazionali verso gli altri e verso il tessuto urbano perché possano essere i veri protagonisti di una stagione di rinascita.
Noi proveremo a offrire qualche scintilla grazie a questo webinar, nel quale guarderemo ai giovani e al loro rapporto con la città del futuro, alla luce dei numerosi stimoli innovativi che questo periodo ci sta offrendo. Guarderemo a Milano, nel contesto della Milano Digital Week e ci chiederemo:
qual è il futuro della città, intesa sia come urbs che come civitas?
Come vivono i giovani nella città oggi, tra home working, home schooling e le difficoltà quotidiane già note prima della pandemia?
E quali caratteristiche dovrebbe avere la città del futuro affinché sia ecologica, equa, solidale, sostenibile e generativa?”
Il 19 marzo si è tenuto il terzo incontro del ciclo di Conversazioni Generative promosso da La Prossima Generazione (clicca qui per recuperare il webinar sul canale YouTube) che ha visto protagonisti Chiara Bisconti, attuale Presidentessa di Milano Sport; Ermete Realacci, attuale presidente di Symbola, fondatore e presidente onorario di Legambiente; Chiara Liso, architetto presso Lombardini22. L’incontro è stato moderato da Stefano Carpani, psicologo junghiano e sociologo.
Il dott. Carpani presenta il tema, specificando come sia importante parlare del “futuro della città“, anziché della “città del futuro“. L’attenzione a infarcire di servizi il tessuto urbano porta nel tempo a quella distrazione patologica del vivere isolati, del vivere soprattutto senza rendere ragione a quei principi di condivisione, comunità, ma anche rispetto nei confronti delle opportunità e dei limiti che la natura, che ci circonda e ci governa, ci riserva.
Chiara Liso interviene proprio sulla scia del concetto di “città perfetta”: la strada giusta per trovare un buon equilibrio di città sia mettere al centro i bisogni del cittadino, sentendosi, nello stare negli spazi, rappresentato. Come parte di quella realtà quindi, co-costruita. Non bisogna confinare gli spazi nel proprio appartamento, nella propria casa, ma far diventare una città un’estensione di ciò che “arredo” nel mio piccolo. E con questo, considerare una serie di accortezze di rispetto che la città, seppur iper-servita, debba possedere nei confronti della natura. Un tessuto urbano, quindi, che si complementa costantemente con i bisogni di tutti e di tutto.
Chiara Bisconti, ex Assessora al Comune di Milano, ricorda i tempi dell’Amministrazione che l’ha vista protagonista. Che città ha ereditato? Era una manager di una grande azienda, che è stata chiamata da un giorno all’altro da un sindaco che non conosceva a prestare esperienza come società civile, in una nuova Giunta. La spinta propulsiva nasceva da una forte richiesta di cambiamento che i cittadini avevano espresso. Milano, chiusa in se stessa, allontanata dal sentimento delle persone, dalla voglia di vivere la città, con quel sentimento di esclusività, allontanava le persone. I cittadini avevano voglia di cambiare un po’, diventando più “europei”: perché non ci sono musicisti all’aperto? Perché non ci sono possibilità (ad oggi impensabili) di assembramenti di piazza, di comunità, di convivialità? Sulla spinta di questa grande richiesta, la Giunta ebbe la possibilità di cambiare alcune cose, su quell’onda molto forte di sostegno. I suoi ricordi sono di una volontà molto forte, molto chiara, di “aprire la città”, facendola diventare luogo di incontri. Nel 2011 sono nate le prime manifestazioni di piazza, dove la cultura, la musica, l’editoria, potessero arrivare al di fuori dei circoli stretti che la producevano. È diventata una città che ha cominciato in modo molto forte a relazionarsi con i suoi abitanti, facendo nascere una serie di eccellenze molto interessanti, che poi hanno segnato Milano. Si è aperta, si è uniformata a delle prassi europee. Nei primi anni della nostra Giunta la frase più ascoltata è stata: “Ma Milano?! Sembra di essere all’estero!“. Queste affermazioni chiarivano il passo verso una dimensione interessante e vivace.
Milano era una città depressa. Con Pisapia, la ventata di freschezza. Il dott. Carpani cita Mediterraneo: “Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente… e allora gli ho detto… avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice… così gli ho detto, e son tornato qui…”. C’era tanto fermento, ma l’Italia non è stata mai cambiata.
Ermete Realacci prende parola nel dialogo, ricordando con fermezza che le cose possono cambiare. Questa frase è una dichiarazione di impotenza programmatica: le cose sono sempre difficili, nessuno ti regala niente, però dipende molto dalle scelte che compiamo. Dipende molto anche dal saper cogliere nelle città i fili che portano a spingere dei cambiamenti. Il dott. Realacci ha sempre percepito la battaglia ambientale come un’avventura, non come un insieme di regole e di obblighi. Non come delle prescrizioni “perfette”. La transizione ecologica si sarebbe affermata, aggiunge, solo quando sarebbe stata concepita come socialmente desiderabile. Significa economia, significa gioia di vivere. È stato poco indagato il passaggio di testimone che c’è stato all’inizio di questo millennio. Roma sembrava avesse trovato una sua cifra per parlare al mondo (con le Giunte di Rutelli, di Veltroni); Milano invece sembrava una città ripiegata, pagando anche il declino del ruolo di capitale morale d’Italia. Si sono poi rapidamente invertite le cose, portando gli elementi soggettivi e psicologici a contare tanto sulla percezione del cittadino, perché, ricorda, l’italiano è in grado di vedere i segnali senza affrontarli, ma poco in grado di vedere i suoi punti di forza. Anche nella campagna ambientale, e anche nel valutare le nostre città e la loro evoluzione, capire i punti di forza è fondamentale. Capire da dove si può partire, e adesso da dove partire è fortunatamente proprio questa transizione verde che l’Europa ha fatto con grande lentezza. C’è stato un passaggio che non era scontato: quando il Papa andò a Berlino nel 2014, fece un discorso sull’Europa anche “politicamente scorretto”: l’Europa gli sembrava vecchia e stanca, e la paragonò a una nonna non più fertile e vivace. L’Europa sembrava davvero così. Poi i traumi come la Brexit e la pandemia hanno portato a cambiare rotta, e adesso quella opportunità di affrontare i problemi ambientali partendo dalla crisi climatica, però producendo un’economia più forte proprio perché a misura d’uomo, richiederà lo spirito adatto, come quello d’avventura, di sfida.
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