Fridays For Future è un movimento che va preso sul serio perché, forse persino aldilà della consapevolezza dei suoi attori, sta dicendo qualcosa di importante al nostro mondo, portando alla luce una critica di cui chi sta all’interno dell’ordine normale delle cose (noi adulti) sembra non riuscire a riesce a cogliere portata e urgenza. Bisogna saper discernere. Ma sarebbe sbagliato non ascoltare. In fondo, è la prima volta dal 1968 che le nuove generazioni si organizzano per protestare contro il mondo degli adulti. Un mondo che, formatosi proprio negli ultimi cinquant’anni, oggi si scontra con una serie di gravi contraddizioni. Nel 1968 si protestò contro l’autorità, il paternalismo, la rigidità dei modelli di vita; oggi la protesta è centrata sui temi del riscaldamento globale, degli stili di vita, della distruzione dell’ecosistema.

Allora a scendere in piazza furono i giovani studenti che frequentavano le università più prestigiose dell’Europa e degli Stati Uniti d’America; oggi i protagonisti sono adolescenti che vivono nelle principali città di tutto il mondo. A dire che per trovare una voce critica si è dovuti andare ancora più a ritroso nell’età, tra chi ancora è sulla soglia della vita: se a prendere l’iniziativa sono oggi gli adolescenti forse è perché i giovani che hanno qualche anno di più sono già stati in buona misura assimilati al modo di vita dominante. «Ci avete rubato i nostri sogni», è stata l’espressione ripresa dalla stampa mondiale per riassumere il discorso che la piccola Greta – simbolo suo malgrado di questo movimento globale emergente – ha pronunciato davanti all’assemblea dell’Onu.

Una frase potente ed evocativa ma il cui significato rimane ambivalente. Che cosa vogliono dire i ragazzi? Per alcuni aspetti, questa frase sembra esprimere risentimento. Come se gli adolescenti fossero arrabbiati perché si rendono conto di essere la prima generazione che rischia di non poter accedere ai livelli di benessere che sono stati goduti dagli adulti. Tagliati fuori da quel ‘godimento’ che vedono attorno a loro e a cui pure aspirerebbero.

Ma l’espressione di Greta può rinviare anche a un diverso significato. La domanda che bisogna farsi è infatti la seguente: perché e chi ha rubato i sogni visto che nessuno ne aveva intenzione? Non è questa una cosa sorprendente – e forse persino scandalosa – per una generazione di adulti che l’ultima cosa che avrebbe pensato è di arrivare ad un tale risultato? Vista in questa prospettiva, la protesta dei ragazzi – che non può che essere un po’ naïve – può diventare una preziosa occasione per riflettere criticamente sul nostro modo di vita. Il problema è la radice antropologica del modello di sviluppo che si è affermato negli ultimi cinquant’anni, a partire dal ’68 e cresciuto poi nell’habitat neoliberista: l’origine dei nostri problemi non è forse aver detto che ogni singolo individuo è portatore del proprio sogno e che l’economia è il sistema deputato ad aumentare le opportunità disponibili? È perché ha creduto in questa idea che la nostra generazione ha finito per costruire un mondo in cui alla fine i sogni non esistono più. Semplicemente perché ce li distruggiamo a vicenda, distruggendo nel contempo tutto ciò che ci circonda.

È questo il nodo che va affrontato per aprire una prospettiva davvero nuova e impegnativa. La natura della crisi sistemica di quel riscaldamento globale che minaccia il futuro della vita è il sintomo della reazione del pianeta Terra nei confronti di quella modalità predatoria adottata da miliardi di Io, ‘ciascuno perso dietro ai fatti suoi’ per citare Vasco Rossi. I sogni di tutti possono essere coltivati solo a condizione che si torni a comprendere che siamo tutti intimamente legati gli uni gli altri, nel quadro di una serie di compatibilità (che abbiamo invece rimosso). E chiaro che il movimento degli adolescenti non riesce a cogliere tutte implicazioni profonde della protesta che pure ha il merito di portare alla luce.

Ma non ci si illuda. Come è successo col ’68, ci aspettano anni in cui la faglia apertasi con Fridays For Future si approfondirà, trasformando un po’ per volta il nostro modo di vivere. Con tutte le ambivalenze che processi di questi tipo necessariamente generano, Da un lato lato, le spinte fondamentaliste miranti alla contrapposizione frontale nei confronti dell’organizzazione esistente; dall’altro la rapida omologazione di ogni discorso col tentativo da parte dei grandi interessi di appropriarsi e sterilizzare le idee espresse degli adolescenti. In mezzo c’è lo spazio per un cammino di cambiamento culturale vero, che superi l’idea individualistica e restituisca centralità della dimensione relazionale della nostra vita personale e sociale. Che è la vera questione da affrontare. I giovani hanno tutto il diritto di sognare. Non smettano di farlo! Imparando però la lezione che i fallimenti della nostra generazione insegna: non si sogna mai da soli. Si sogna sempre con gli altri, su un pianeta che ci ospita e in un cosmo che ci abbraccia.