L’emergenza economica generata in Italia dall’epidemia di coronavirus verrà affrontata allocando le risorse europee straordinarie oggi aspramente discusse in questi giorni lungo due direttrici: a un estremo troviamo investimenti di politica economica nazionale più o meno coordinati da nuove strutture, da nuovi Green Deal fino all’evocazione di una nuova IRI; all’altro estremo, risorse distribuite incondizionatamente per compensare la perdita di reddito dei cittadini e delle imprese, da redditi di emergenza di fino alle vare ipotesi di helycopter money di stile trumpiano. Entrambe queste direttrici hanno rischi e controindicazioni: la prima, di un nuovo centralismo che si può impantanare nella burocrazia e nell’illegalità, la seconda di un rinnovato assistenzialismo che allarga le disuguaglianze. Esiste è una terza direttrice che complementa e concretizza le precedenti, sempre che siano correttamente impostate, ossia una serie di patti territoriali condivisi fra pubblico e privato che, con un percorso partecipativo, utilizzino le risorse disponibili coprendo l’ultimo miglio delle politiche nazionali. E’ questa la proposta che presentiamo in queste righe, che si avvale dei metodi appresi da una esperienza di grande successo, il Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna. Come diceva Churchill, fare strategie è facile, il difficile è realizzarle.

La proposta: patti regionali per attuare le politiche e realizzare gli investimenti

Facciamo una proposta su una ripresa economica e sociale che non si limiti a tentare di ricostituire lo status quo ante: attivare a livello di territorio patti pubblico-privati, progetti concreti e partecipativi “a doppia elica”,cioè volti a proteggere subito le persone (disoccupate, male occupate, occupate) e le aziende (fragili, liminali, solide) e a progettare fin d’ora un sistema produttivo più robusto e una società più giusta avendo come stella polare l’aumento del valore aggiunto e la creazione di lavoro di qualità.

E’ a tutti evidente che per uscire in piedi dalla crisi provocata dal coronavirus è necessario aiutare le imprese, le istituzioni e le famiglie a colmare il debito che hanno contratto in mesi di inazione e a riprendere il normale ciclo della vita sociale ed economica del nostro paese. Ma questo non basterà: sul terreno economico, oggi più di ieri, è necessario che il sistema Italia faccia un cambio di passo che lo metta in grado di competere con gli altri paesi sul terreno della produttività e dell’innovazione e con questo generare valore e occupazione.

E’ in corso un dibattito importante sulle imponenti provvidenze finanziarie concordate con l’UE, che finora sembrano destinate principalmente sulla prima elica, i cittadini. Ma anche quando la seconda sarà stata attivata con la riorganizzazione del sistema sanitario, il Green New Deal, gli investimenti tecnologici, la formazione e altro, noi siamo preoccupati che le risorse vadano ancora una volta perdute tra distorto protagonismo della politica, vischiosità burocratiche, iniziative senza fondamento economico e di mercato e, perché no, l’invadenza della criminalità organizzata. E’ questo quello che è generalmente successo in Italia negli ultimi decenni e nulla fa pensare che non si ripeterà anche questa volta.

La nostra proposta riguarda l’ultimo miglio dei programmi di politica industriale e sociale che vanno messi in essere nel nostro paese. La facciamo perché la politica italiana ha sempre mostrato poco interesse, e poca capacità a trasformare piani, leggi e decreti in azioni efficaci e a monitorarne i risultati.

Le debolezze e i punti di forza del sistema produttivo italiano

L’emergenza Covid 19 è caduta su un sistema produttivo italiano debole, dove i livelli di produttività sono fra i più bassi d’Europa.

Lo tsunami Covid 19 in un mese ha mostrato, al duro prezzo di vite umane, la inadeguata organizzazione sanitaria, lo scarso finanziamento e la dispersione delle strutture di ricerca, la fragilità delle PMI, la insostenibile burocrazia pubblica, i problemi di coordinamento istituzionale fra Stato, Regioni, Comuni. In breve, si è manifestata drammaticamente una “questione organizzativa” italiana. Questa “questione organizzativa” richiederebbe azioni potenti di rigenerazione delle organizzazioni private e pubbliche: la nostra proposta è un percorso per affrontarla attraverso progetti condivisi fra pubblico e privato.

Covid 19 però ha anche mostrato alcuni punti di forza da cui si può partire. Innanzitutto, il “sistema professionale” del mondo sanitario, dell’ordine pubblico, dell’istruzione, della logistica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione: esso non solo ha mostrato commoventi atti di eroismo ma una straordinaria consistenza deontologica e tecnico-scientifica. E questo malgrado le rigidità delle burocrazie in cui i professionisti, titolati e non, hanno lavorato. In secondo luogo, la vitalità delle organizzazioni del terzo settore. In terzo luogo, le eccellenze delle migliori grandi e medie imprese. E non da ultimo punti di forza sono alcune organizzazioni pubbliche che hanno mostrato nell’emergenza una straordinaria “prontezza intrinseca” per far fronte all’inaspettato, come l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato, alcune Amministrazioni Regionali quali l’Emilia – Romagna e il Veneto, e alcuni Comuni.

La ”questione organizzativa” italiana si può affrontare superando le debolezze, valorizzando le buone pratiche, attivando processi partecipativi che sprigionino energia

Le emergenze sistemiche di fronte al sistema produttivo italiano

Già prima dell’emergenza coronavirus erano già presenti altre emergenze per il nostro sistema produttivo e sociale.

  1. I sostanziali cambiamenti dei modi di produzione nel passaggio dall’economia di scala all’economia della personalizzazione.

  2. la Quarta Rivoluzione Industriale e le tecnologie digitali che sta cambiando i sistemi produttivi e il lavoro

  3. I big data dati che con le reti 5 G e l’Intelligenza Artificiale consentono una iper-connessione senza precedenti.

  4. l’ emergenza climatica che impone un passaggio dall’economia dello spreco all’economia circolare:

Insomma con l’emergenza coronavirus ha piovuto (anzi diluviato) sul bagnato.

Che fare? Convertire l’emergenza in una forza di coesione

Come è avvenuto nei casi dei terremoti del Friuli e dell’Emilia, occorre convertire l’emergenza in una forza di coesione che attivi patti fra tutti gli attori pubblici e privati a livello regionale, e quindi nazionale.

La Regione Emilia – Romagna, nella scorsa legislatura, lo ha fatto attuando politiche per la formazione del capitale umano facendo aumentare quel valore aggiunto della produzione, ritenuto il vero driver dello sviluppo economico di una comunità.

Ha fondato questa politica su un Patto (il Patto per il Lavoro) che coinvolgeva, oltre al governo regionale, gli enti locali, le associazioni imprenditoriali e sindacali, le Università e le scuole. Il Patto non è stato un negoziato fra l’Amministrazione regionale e le istanze corporative espresse dalle rappresentanze sociali, né un accordo sulle condizioni di lavoro. È stato invece un accordo di sistema con cui le diverse parti sociali, scrivendo e sottoscrivendo il Patto, assumevano reciprocamente l’impegno di definire i propri comportamenti e delineare i propri investimenti nei successivi cinque anni dati dalla legislatura che stava iniziando, definendo comuni obiettivi, modalità di revisione, e volumi complessivi di investimenti con cui rilanciare l’economia e consolidare la società regionale. In cinque anni, il valore aggiunto della regione aumentava del 1, 5 per cento annuo e i il tasso di disoccupazione scendeva dal 12 per cento al 4.8 per cento.

Se si è potuto fare questo una volta, lo si può fare almeno altre 19 volte con percorsi adeguati alle specificità economiche , sociali, politiche dei diversi territori italiani.

Naturalmente tocca al governo del Paese definire le politiche in rapporto con l’Europa ma esso potrà valorizzare e ricucire i Patti regionali perché è lì che i piani di investimenti troveranno il momento in cui le parole e i soldi si dovranno trasformare in fatti.

Una proposta per il Paese

La nostra proposta è quella di un percorso oggetto di forti patti fra le istituzioni e gli attori del sistema produttivo. Un percorso basato su processi insieme top down e bottom up, connessi con le politiche europee. Due sono i livelli di organizzazione per attuare questa proposta:

A. Patti Regionali sviluppati e gestiti dalle singole Amministrazioni Regionali che adottino politiche di innovazione, di creazione di valore aggiunto, di creazione di lavoro, di sostenibilità ambientale a favore delle imprese, dei lavoratori, dei cittadini nella regione e che siano radicati nelle potenzialità e nello scrigno di competenze del territorio.

Essi saranno molto differenziati tra loro ma devono avere poche essenziali caratteristiche comuni:

  1. Rifarsi ad un articolato disegno di interventi a livello nazionale ed europeo, ma essere basati sulle realtà locali, suscitandone le energie e la partecipazione .

  2. Avere una stella polare: la creazione di valore aggiunto e di “lavoro di valore”

  3. Essere basati su obiettivi misurabili e su una visione di lungo periodo

  4. Coinvolgere istituzioni e corpi intermedi

  5. Suscitare energia, valorizzare lo scrigno di competenze di un territorio, attivare partecipazione dei lavoratori e dei cittadini

B. Tutto ciò richiede un coordinamento nazionale assicurato da una unità di missione (Coordinamento dei Patti Regionali) , di altissimo livello e collocato presso la Presidenza del Consiglio e/o la Conferenza delle Regioni (in forte rapporto con la task force guidata da Vittorio Colao). Questa Unità deve includere alcuni pochi leader del mondo delle istituzioni nazionali e regionali, delle imprese, della ricerca, del sindacato . Questo livello nazionale deve non solo sorreggere metodologicamente i Patti Regionali e contribuire al reperimento di risorse europee, statali e private, ma deve contribuire a quella funzione di “ricucitura”, di costante ricerca della complementarietà delle azioni, che operi da integratore fra le diverse azioni e leghi gli interventi regionali a quelle che per loro dimensione debbono essere portate avanti a livello nazionale ed europeo. Esso dovrà operare verso gli obiettivi allineati a quelli nazionali ed Europei (come il Green New Deal), dando un contributo operativo alla cooperazione dei vari ministeri e della Conferenza delle Regioni.