Con la Leopolda, Renzi ha riprovato a rilanciare la sua immagine di leader che vuole parlare di futuro. Ma il successo dell’operazione, più che dal remake di un format vincente, dipenderà dalla capacità di interpretare un clima sociale  che nel corso degli anni è cambiato profondamente. E da questo punto di vista, la kermesse fiorentina non mi pare abbia segnato un vero cambio di passo.

Le ricerche in questi ultimi anni sono concordi nel cogliere il cronicizzarsi del malessere che colpisce ampi strati della società. Dati confermati  da una indagine SWG presentata in questi giorni  a Bertinoro, all’appuntamento annuale del terzo settore italiano.

L’insoddisfazione verso la propria condizione economica (il 42% la ritiene peggiorata negli ultimi anni) si traduce in sentimento di abbandono: con  istituzioni  percepite come lontane e inerti e classi dirigenti inaffidabili, ci si sente in balia di fenomeni globali fuori controllo  (dal terrorismo al  riscaldamento planetario, dall’immigrazione allo strapotere delle banche e degli oligopoli economici).  L’ostilità verso i migranti  e le pulsioni verso l’antipolitica (che attraggono  il 55% del campione) indicano che gli anticorpi immunitari – che  contrappongono  la  comunità di appartenenza a tutto ciò che ne sta fuori – sono tutt’altro che debellati.

Di fronte a un futuro che non promette nulla di buono per sé e ancor meno per i propri figli, ritorna di attualità un termine usato da R. Castel, che parlava di disaffiliazione  per indicare la rottura dei legami (famigliari, sociali e istituzionali) che tiene insieme le persone al mondo sociale circostante.

Non sorprende che, in questo clima, l’82% degli intervistati sia convinto che  il modello economico  debba cambiare profondamente. Anche se i contorni di tale cambiamento rimangono confuse. Per questo ci si affida volentieri  ai leader politici “forti” (come Trump o Putin)  che non hanno paura di rompere gli schemi consolidati.

Se questa è la  diagnosi, qual è allora la prognosi?

È bene prima di tutto chiarire un punto: l’aspetto economico e monetario (es. gli 80 euro) è importante ma da solo non basta. Certo, se le persone possono avere più soldi in tasca sono contente. Ma non si dirada la nebbia formatasi in questi anni così facilmente. In epoca di “stagnazione secolare” la spinta ai consumi non basta.

E allora?Ci sono due aspetti che le ricerche degli ultimi anni mettono evidenza e che vanno tenuti in debito conto.

Il primo é la centralità dell’investimento sulla  persona. Il vecchio tema dell’educazione. Oggi sappiamo  che esiste una relazione ben precisa tra il livello di istruzione e la qualità della vita lavorativa da un lato, e la capacità di gestire con successo le tante dimensioni  della vita contemporanea dall’altro. È questa la condizione non solo per avere un reddito maggiore, ma anche per  gestire meglio la  salute ( dall’alimentazione all’attività fisica),  per avere e mantenere buone reti relazionali, per coltivare  interessi e  curiosità, per non avere paura della tecnologia. Per essere cittadini a pieno titolo di un mondo sempre più sofisticato e  veloce  é necessario disporre di un buon  capitale culturale.

Un’affermazione tutt’altro che scontata. Le nostre società vengono infatti da decenni nei quali  era sufficiente essere “consumatori”, magari anche un po’ instupiditi.

Oggi, però,  avere due soldi in tasca e frequentare un centro commerciale non basta più.

Per navigare nel mondo che abbiamo costruito occorrono molto più “competenze” – formali e informali –  che si apprendono prima di tutto a scuola e poi sul  lavoro (almeno in quella parte di mondo lavorativo dove la professionalità viene messa a valore). Due mondi terribilmente lontani dall’esperienza quotidiana di molte persone.

Il secondo aspetto riguarda la ricostruzione del senso di comunità (una domanda su cui converge l’88% degli intervistati!). I primi nemici da combattere sono la disillusione, la diffidenza, l’isolamento, che di fatto rendono impossibile ogni ripartenza. Si avverte il bisogno  di un clima più positivo, dove sia possibile ricostruire quel bene intangibile ma così prezioso che è la fiducia. Che  si basa su tre pilastri: la qualità dei soggetti attivi sul territorio  (istituzioni  pubbliche, ma anche imprese, scuole, ospedali, associazioni di categoria, parrocchie ): é nel rapporto con tali soggetti che i cittadini si  formano la loro idea della realtà. La legalità, con uno stato capace di soddisfare la legittima domanda di sicurezza. Che sia l’immigrato illegale, l’amministratore corrotto o l’imprenditore  che sfrutta il lavoro c’è bisogno di sapere che coloro che distruggono il  bene comune siano effettivamente perseguiti.   Infine, la capacità di investire – sulla famiglia, sulle  infrastrutture,  sui beni pubblici – come chiave di accesso al domani. Solo una comunità che investe può guardare al futuro con fiducia.

Al di là dell’aspetto  economico (che pure conta) queste tre dimensioni  marcano  la domanda di un diverso modo di stare insieme. È su questo che le forze politiche (specie se “nuove”) si devono misurare: è finito il tempo dell’espansione, dell’individualismo, dello slegamento. Può essere che ciò ci spinga verso il tempo della rabbia, del  risentimento, della chiusura. Ma può  essere invece  che ciò costituisca  una straordinaria occasione per ritessere una vita sociale che negli anni si è sfrangiata. Al di là di ciò che produciamo e consumiamo,  occorre lavorare per ricostruire la qualità del nostro tessuto sociale: a partire  dalla cura della persona e  dei territori. In gioco c’è il nostro futuro. La possibilità  stessa dell’Italia di rimanere ‘viva”.