La crisi finanziaria del 2008 ha segnato un passaggio storico che sta cambiando il paradigma culturale ed economico. Crescita illimitata e massimizzazione del profitto nel breve termine, espressioni di una prospettiva individualistica che ha dominato per molti anni, stanno lasciando spazio a una consapevolezza della necessità di un approccio più sostenibile nel tempo, capace di generare benessere per una comunità più ampia oltre il singolo individuo. Pensando all’architettura come espressione del periodo di riferimento, è facile trovare un parallelismo con grattacieli iconici, simboli isolati degli anni 80 e 90, con riferimenti urbani più recenti come l’High Line di New York, espressione invece di uno spazio comune condiviso. Dal 2008 l’instabilità geopolitica e macroeconomica stanno caratterizzando i mercati finanziari con shock periodici, che hanno alimentato una maggiore volatilità e rischio. In questo contesto, diventa determinante tornare a ragionare sull’economia reale, concentrandosi a favorire investimenti basati sui fondamentali tra domanda e offerta e meno su dinamiche indirette più di natura finanziaria. La tendenza generale a una migrazione delle popolazioni verso le città sta definendo il territorio come una delle risorse strategiche più rilevanti per lo sviluppo economico e culturale di questa epoca. Demografia, scienza e tecnologia stanno modificando in modo irreversibile come utilizzeremo lo spazio fisico in ogni sua funzione. In questa prospettiva, da una parte l’Italia ha una vocazione storica nel sapere generare città ammirate in tutto il mondo e un territorio di straordinaria bellezza, dall’altra ha un’infrastruttura fisica obsoleta che è destinata a deteriorarsi ancor più rapidamente in conseguenza della forte innovazione che caratterizzerà i prossimi anni in termini di mobilità, di riduzioni nel consumo di risorse naturali, di usi condivisi sia nella casa sia nell’ufficio, di distribuzione dei beni, di modalità costruttive. Diventa prioritario un approccio industriale a livello Paese, che componga un’alleanza responsabile tra settore privato, settore pubblico e capitali istituzionali, al fine di rigenerare l’infrastruttura del territorio italiano in ogni sua espressione: residenza, turismo, logistica… patrimonio pubblico in grado di riattivare un ciclo virtuoso che generi occupazione, ingegno, innovazione e attrattività delle nostre città nel mondo. Personalmente ritengo che la ricetta debba essere italiana. Dobbiamo essere noi a credere e impegnarci nel nostro Paese. I nostri fondi pensione negoziali, casse di previdenza, assicurazioni, fondazioni bancarie rappresentano un potenziale motore economico e culturale straordinario che potrebbe generare, insieme al mondo imprenditoriale più progressista, un’alleanza capace di sviluppare investimenti strategici nell’economia reale dell’Italia per consentire sia un impatto economico e sociale determinante per le generazioni di oggi e future, sia rendimenti realistici solidi e sostenibili nel tempo.