Quando la tempesta sarà finita, 
probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. 
Anzi, non sarai neanche sicuro sia finita per davvero. 
Ma su un punto non c’è dubbio. 
Ed è che tu, uscito da quel vento, 
non sarai lo stesso che vi è entrato.
Kafka sulla Spiaggia di Murakami Harumi

L’immagine è quella della croce, l’asse orizzontale, il nostro orizzonte, lo spazio e l’asse verticale, l’asse del tempo, così metaforicamente la nostra attualità caratterizzata dal restringimento dello spazio e dalla dilatazione del tempo, costringe o permette, dipende dal nostro sguardo, ad una penetrazione profonda dentro le cose, ad una ricerca di nuovi significati, costringe ad un “perché” la cui risposta feconda transita e si compie dentro un “come”; come è possibile leggere una possibilità dentro un inatteso drammatico e sconvolgente, mortifero? Come è possibile risorgere abbracciando nuove forme d’esistere? Come è possibile dentro il tempo del dolore, del lutto? 

Si tratta davvero di un lutto su molteplici livelli, il lutto di persone amate, di nonni, genitori, amici; la perdita delle nostre abitudini, della nostra quotidianità, il caffè al bar, la passeggiata in centro, l’aperitivo con gli amici, i viaggi; la perdita di un modo di vedere e stare nella realtà e nella relazione con le cose dominato dal predominio della tecnica e dai rapporti di potere. 

Anzitutto il lutto va vissuto, non possiamo negarlo dentro slogan fintamente ottimistici, “vieni dolore ed attraversami, trasformami, brucia ciò che è superfluo e lascia ciò che conta”, l’essenza incontaminata e pura del nostro essere esistenze in relazione, abitati da un desiderio d’Infinito da riconoscere e celebrare dentro la nostra costituzionale fragilità. Ci siamo finalmente riconosciuti fragili, impotenti, crollano le illusioni del controllo e del dominio, rimane la consapevolezza che siamo un unico grande corpo, ogni nostra scelta ha una ricaduta sull’intero sistema vivente, siamo profondamente interconnessi, tutto ciò è bellissimo e richiede cura, responsabilità ed impegno come per i legami più importanti. Come sosteneva il fisico Capra l’unica vera logica che presiede l’universo è quella cooperativa, in sostanza tanto più mi occupo del tuo bene, tanto più io sto bene…Troppo semplice? Può essere, ma raggiungere questo livello di coscienza porta fioriture inaspettate dentro di noi che hanno a che fare con il senso del nostro esistere, con il compito che ci è stato assegnato, ha a che fare con la felicità incondizionata, quella predisposizione a vivere ogni esperienza, anche quelle dolorose come uno strumento di apprendimento e di evoluzione. E qui siamo dentro il livello di accettazione che nelle fasi del lutto descritte dalla Kübler Ross è l’ultima, attraversate la negazione, la rabbia, l’impotenza, possiamo nuovamente guardare il futuro, conservando un posto benedetto ed indissolubile dentro di noi per chi abbiamo perso. 

Il lutto segna certamente nelle nostre vite un prima ed un dopo, sta a noi decidere e compiere il nostro dopo, possiamo rimanere vittime del rimpianto e dello struggimento, pestare i piedi ed impedire all’inatteso di abitarci o crescere, diventare adulti e compiuto il tempo del lutto, mettere a frutto i nostri talenti in una dimensione di servizio. 

Questa situazione ci ha permesso di comprendere come esseri umani che è nostro potere e nostra responsabilità generare un cambiamento di prospettive, nuovi centri gravitazionali, le condizioni ora sono propizie, il velo è caduto, possono davvero prevalere l’umanità, la giustizia e la fratellanza. Probabilmente è rischioso dare voce a simili riflessioni, l’immenso cinismo con cui sino ad ora ci siamo protetti le rubricherebbe alla voce retorica ed utopia, ma si sa il cambiamento non si può produrre se continuiamo a credere e a fare le stesse cose, se il nostro sguardo non si sposta verso il cielo sentendo che dentro di noi ne dimora un frammento. E’ la capacità di riconoscere e al contempo creare una connessione con il mondo, sentendosi una parte del tutto, è la capacità di meravigliarsi, di stupirsi, non da intendersi come forme d’ingenuità blanda e superficiale, ma come le più alte espressioni della nostra umanità. 

C’è un profondo legame tra il tutto e le singole parti, che si esplica nell’interconnessione e nell’interdipendenza: ciò che accade in una parte si riflette nel tutto e viceversa. Nessuno di noi è un’isola, ma piuttosto un arcipelago che si relaziona a tutto ciò che sta intorno, e un’onda che s’infrange sulla costa determina effetti anche a livelli più profondi e sommersi, oltre a quelli immediatamente percepibili e sulla superficie.

Mai come oggi abbiamo sperimentato quanto le scelte di ciascuno abbiano un peso e una ricaduta nelle vite degli altri, quanto la misura della nostra libertà personale si elevi nella responsabilità di cura del benessere collettivo. Il velo che è caduto mostra le nostre debolezze e le nostre qualità, c’è chi accumula mascherine e fa incetta nei supermercati, privandone altre persone e chi creativamente produce mascherine da regalare ai vicini di casa, c’è chi sta appollaiato sui balconi con tanto di altoparlante e telefonino per riprendere gli “untori” che se ne infischino, dal loro punto di vista, delle restrizioni in atto e chi s’impegna gratuitamente a portare di casa in casa generi di prima necessità e farmaci…sta a noi decidere da che parte stare, che donne e che uomini vogliamo essere. Facciamo silenzio dentro di noi, ascoltiamoci profondamente, amiamoci, perdoniamoci, e lasciamo fiorire il nuovo.    

 Livia L.