Colui che pensa che il mondo sia reale

è stupido come una mucca.

Colui che pensa che non sia reale

è ancora più stupido.

 

Questa è una massima attribuita a Saraha, un Mahasidda indiano vissuto nell’ottavo secolo, eminente studioso e yogi (praticante), nonché uno dei primi esponenti della via Vajrayana del buddihsmo, la Via del Diamante o via tantrica.  Essa riassume molto bene la visione buddhista non dualistica della realtà.

Colui che pensa che il mondo sia reale è stupido come una mucca”. Nella nostra visione ordinaria, non illuminata, siamo soliti ritenere “reali” molte cose.

Sono reale io, il mio corpo, i miei sentimenti, le mie sensazioni, i miei pensieri. Da qui nasce l’illusione dell’Ego.

E’ reale il mondo, le altre persone e gli altri esseri, gli oggetti, le cose. Da qui l’illusione di una “alterità”.

E’ reale l’interazione che si stabilisce tra l’Ego e il mondo, l’atto della percezione e dell’inter-relazione tra me e altro da me.

Questa visione “distorta” viene definita Ignoranza Fondamentale. Percependomi come distinto dal tutto instauro con le cose/persone relazioni che sono orientate all’attaccamento (se sento le cose/persone affini a me), all’avversione (se le sento che distanti e pericolose) o all’ignoranza (se le percepisco come neutre, indifferenti). A partire da questa triade si generano tutti gli elementi distrubanti e le paranoie che quotidianamente ci accompagnano.

Nei fatti, tuttavia, nulla di tutto ciò è reale. Si tratta solamente di un sogno, individuale o collettivo. Nell’approccio buddhista possiamo definire “reale” solo qualcosa che non è mai nato, mai morirà e rimane sempre uguale a se stesso.

Tutto ciò che percepiamo come reale (io stesso, gli altri, il mondo) è totalmente impermanente. Si manifesta dallo spazio al sorgere di determinate condizioni interdipendenti, compie il suo breve percorso per poi dissolversi nello spazio quando vengono meno le condizioni che ne hanno determinato la manifestazione. Impermanenti sono dunque il nostro corpo, le nostre emozioni e pensieri, le relazioni che instauriamo, la nostra conoscenza delle cose, le infrastrutture sociali, economiche e scientifiche che costruiamo.

L’unica “cosa realmente reale” è il principio di consapevolezza che percepisce tutto ciò, che da un tempo senza inizio passa da una manifestazione all’altra, in un ciclo ininterrotto di morte e rinascita che può essere interrotto solamente raggiungendo uno stato di piena consapevolezza, che non ci faccia ricadere nell’illusione del reale.

 

Questa prima parte della massima di Saraha spazza via in un attimo tutti gli approcci materialisti e razionalisti. Il rischio, tuttavia, è di cadere nel nichilismo, nella mancanza assoluta di senso. Ecco quindi la seconda parte.

Colui che pensa che non sia reale è ancora più stupido”. Colui che si è liberato dell’idea di realtà del mondo è estremamente saggio. Ma se da questa comprensione attiva a ritenere che le cose non siano reali, allora è ancora più stupido.

Le vite che volta per volta stiamo vivendo (e i mondi, le situazioni, in cui queste vite volta per volta sono inserite) sono infatti i soli contesti che abbiamo a disposizione per apprendere, per crescere spiritualmente, per raggiungere quella piena consapevolezza cui aspiriamo. Perché, in termini buddhisti, esistenza ciclica e illuminazione sono inseparabili.

Le condizioni di ogni esistenza sono determinate dal karma accumulato nelle esistenze precedenti, che altro non è che il venire a maturazione dei semi piantati. Ogni esistenza è dunque una preziosa occasione per consumare karma negativo e accumulare karma positivo, per piantare buoni semi. Come? Le strade sono varie, ma di fondo tutto ciò che facciamo non deve nuocere agli altri, ed anzi dovrebbe essere orientato al loro massimo beneficio. Sembra semplice, ma ci sono livelli di auto inganno estremamente sottili, dal rischio di ritenere interesse altrui quello che è essenzialmente nostro, al rischio dell’orgoglio insito nel condurre una esistenza a servizio degli altri (giusto per fare un paio di esempi).

Una lettura unitaria della massima di Saraha ci restituisce un quadro del tipo… questa vita non è reale e non ha un reale senso, ma vale comunque la pena viverla appieno, nel qui ed ora.

Utilizzare questa visione per leggere l’attuale emergenza Coronavirus ci porta a riflessioni forse non scontate.

Partiamo dalla prima parte della massima.

Tutto ciò che stiamo vivendo altro non è che una dimostrazione, molto evidente nella sua tragicità, dell’impermanenza di tutto ciò che è composto. Ma nulla aggiunge e nulla toglie alla normale condizione degli esseri senzienti.

Ci sbatte in faccia la morte, ma la morte è sempre lì, che noi la si guardi o meno. Ci sbatte in faccia la fragilità, nostra e dei nostri apparati tecnologici; ma anche questa fragilità è sempre lì, che noi la si guardi o meno.

Abbiamo paura di ammalarci, di morire, di essere veicoli di trasmissione; siamo arrabbiati, e la nostra rabbia si muove dai cinesi al governo che non ha fatto la zona rossa, dai medici che non hanno individuato il paziente zero, ai tagli alla sanità per cui oggi non ci sono sufficienti attrezzature; cerchiamo spiegazioni, dai pipistrelli ai topi, dall’inquinamento alla congiuntura astrale; ci abbandoniamo al sentimentalismo di una canzone sul balcone o una preghiera mondiale via Whatsapp; vogliamo rilanciare la potenza dei nostri apparati tecnologici,  che sconfiggeranno questa minaccia e tutte quelle che verranno dopo….

Nulla di tutto ciò ha realmente senso. Siamo già nati e morti e ri-nati un numero innumerevole di volte, e se questa vita dura qualche anno in meno per colpa di un virus….. una piccola increspatura su una piccola onda di un immenso oceano. E, per inciso, non è che l’auspicato ritorno alla nostra vita di tutti giorni ci restituirà il senso perduto.

 

Insomma una visione un po’ hard… Meno male che il buon Saraha ha aggiunto la seconda frase.

Questa fase storica è una occasione preziosa per “prenderci cura del nostro karma” (come ha recentemente detto il 17° Karmapa Trinley Thaye Dorje, una delle più eminenti figure del buddhismo tibetano).

Molto karma negativo, sia individuale che collettivo, sta venendo a maturazione e dispiegando i suoi effetti. Possiamo reagire generando ulteriore karma negativo (piantando semi non buoni, semi di separazione, di rabbia, di disperazione, che prima o poi genereranno i relativi frutti) o karma positivo, coltivando la compassione, prodigandoci nell’aiuto disinteressato, impiegando tempo per la meditazione e la comprensione di noi stessi.

Dobbiamo attraversare quello che sta accadendo senza generare concetti. O meglio, non dobbiamo aggrapparci, rendendoli rigidi, ai concetti che tendiamo a generare (è nella nostra natura umana). Trovare una cura, sopravvivere, fare programmi per quando sarà tutto finito, ricostituire i legami sociale, onorare la memoria di chi è scomparso…. Tutti concetti, persino nobili, che dobbiamo accogliere, vivere appieno, ma essere pronti a lasciar andare, perché in fondo non reali.

E’ una occasione per comprendere il cambiamento, l’impermanenza, per abbracciare il nostro karma.