Non si è ancora spento l’eco delle parole di Mark Zuckerberg ad Harvard ed ecco un nuovo importante appello ad un modo diverso di intendere l’esistenza umana, dove il punto di tenuta o di caduta è il perseguimento di qualcosa di più grande di sé per il quale valga la pena spendere la proprio vita.

Questa volta è Tim Cook, CEO di Apple, a tematizzare ed esplicitare ciò che a molti, soprattutto ai giovani, sta divenendo sempre più cristallino.

L’obiettivo dell’autorealizzazione individualizzata e orientata in senso materialistico che finisce per declinarsi come puro godimento così come proposto da un certo modello di sviluppo non è un obiettivo che merita la nostra vita.

Semplicemente non ha senso. E’ una trappola per topi dell’Io.

Non ci è dato sapere se Cook abbia ascoltato il recente discorso di Zuckerberg o se mai tra loro si siano confrontati su questi temi. Il messaggio è comunque straordinario in sé e altrettanto straordinariamente sintonico.

Per questo è ancora più potente, considerata la rilevanza pubblica dei due personaggi e del valore simbolico dei luoghi da cui il messaggio è lanciato, entrambe eccellenze formative dove si preparano le classi dirigenti del prossimo futuro e incubatori dei nostri più avanzati immaginari culturali.

Dal palco del MIT Cook si racconta, condividendo una ricerca interiore e facendo affiorare domande cruciali senza le quali non si esce dall’auto-avvolgimento del Sé.

“Dove mi sta portando tutto questo? ” Non è un interrogativo consueto. E’ una domanda finora in esilio, sopravvissuta in pochi spazi di resistenza e di innovazione. Sentirla proclamare ad alta voce è in sé un segnale importante.

Ma ancora più significativa è la direzione che prende il discorso.

Cook – una vita costellata di successi – si fa testimone privilegiato di un risveglio possibile, quello della libertà. Cosa ce ne facciamo di tutto questo correre e avanzare, questo macinare successi senza un obiettivo alto che meriti la nostra vita?

Il susseguirsi di conquiste individuali, anche se accompagnate da riconoscimento sociale e ricchezza economica, da solo non appaga. Abbiamo bisogno di uno scopo più grande di noi per uscire da un meccanismo bulimico che solo ingrassama mai sazia una fame ben più profonda.

Sia chiaro – e detto dal palco del MIT, la cosa fa ancora più effetto – non sarà neppure la tecnologia a salvarci. La prospettiva di un’evoluzione sociale in chiave efficientistica è oggi particolarmente forte e sostenuta da grandissimi interessi. Eppure Cook ci ricorda che la tecnologia può fare grandi cose solo se noi saremo in grado, responsabilmente, di darci una risposta sui fini. Il metro ultimo per misurare la nostra esistenza e il nostro agire non può non essere che il contributo – creativo, appassionato, originale, unico – alla crescita di altro e altri, all’umanità presente e futura.

Da ciò – ci conferma Tim Cook – dipenderà il futuro del mondo e, insieme, la nostra personale felicità. Perché tutto è interconnesso.

Nuove regole del gioco avanzano.

Non si è ancora spento l’eco delle parole di Mark Zuckerberg ad Harvard ed ecco un nuovo importante appello ad un modo diverso di intendere l’esistenza umana, dove il punto di tenuta o di caduta è il perseguimento di qualcosa di più grande di sé per il quale valga la pena spendere la proprio vita.

Questa volta è Tim Cook, CEO di Apple, a tematizzare ed esplicitare ciò che a molti, soprattutto ai giovani, sta divenendo sempre più cristallino.

L’obiettivo dell’autorealizzazione individualizzata e orientata in senso materialistico che finisce per declinarsi come puro godimento così come proposto da un certo modello di sviluppo non è un obiettivo che merita la nostra vita.

Semplicemente non ha senso. E’ una trappola per topi dell’Io.

Non ci è dato sapere se Cook abbia ascoltato il recente discorso di Zuckerberg o se mai tra loro si siano confrontati su questi temi. Il messaggio è comunque straordinario in sé e altrettanto straordinariamente sintonico.

Per questo è ancora più potente, considerata la rilevanza pubblica dei due personaggi e del valore simbolico dei luoghi da cui il messaggio è lanciato, entrambe eccellenze formative dove si preparano le classi dirigenti del prossimo futuro e incubatori dei nostri più avanzati immaginari culturali.

Dal palco del MIT Cook si racconta, condividendo una ricerca interiore e facendo affiorare domande cruciali senza le quali non si esce dall’auto-avvolgimento del Sé.

“Dove mi sta portando tutto questo? ” Non è un interrogativo consueto. E’ una domanda finora in esilio, sopravvissuta in pochi spazi di resistenza e di innovazione. Sentirla proclamare ad alta voce è in sé un segnale importante.

Ma ancora più significativa è la direzione che prende il discorso.

Cook – una vita costellata di successi – si fa testimone privilegiato di un risveglio possibile, quello della libertà. Cosa ce ne facciamo di tutto questo correre e avanzare, questo macinare successi senza un obiettivo alto che meriti la nostra vita?

Il susseguirsi di conquiste individuali, anche se accompagnate da riconoscimento sociale e ricchezza economica, da solo non appaga. Abbiamo bisogno di uno scopo più grande di noi per uscire da un meccanismo bulimico che solo ingrassama mai sazia una fame ben più profonda.

Sia chiaro – e detto dal palco del MIT, la cosa fa ancora più effetto – non sarà neppure la tecnologia a salvarci. La prospettiva di un’evoluzione sociale in chiave efficientistica è oggi particolarmente forte e sostenuta da grandissimi interessi. Eppure Cook ci ricorda che la tecnologia può fare grandi cose solo se noi saremo in grado, responsabilmente, di darci una risposta sui fini. Il metro ultimo per misurare la nostra esistenza e il nostro agire non può non essere che il contributo – creativo, appassionato, originale, unico – alla crescita di altro e altri, all’umanità presente e futura.

Da ciò – ci conferma Tim Cook – dipenderà il futuro del mondo e, insieme, la nostra personale felicità. Perché tutto è interconnesso.

Nuove regole del gioco avanzano.