Un anno nuovo inizia: se vogliamo essere realistici occorre ammettere che davanti a noi si prospetta un lungo periodo di aggiustamento, (molto) difficile e (molto) costoso. Un cammino lungo il quale sarà necessario modificare le basi stesse del nostro modello di sviluppo, se non vogliamo distruggere le condizioni della nostra esistenza.
Intanto si devono governare le emergenze (sanitarie, umanitarie, finanziarie, solo per citarne alcune) più o meno gravi e diffuse che nel mondo che abbiamo costruito si producono senza sosta. E tutto ciò mentre la digitalizzazione trasforma in direzione ipertecnologica l’ambiente della nostra vita sociale.
Riconoscere questo è rendersi conto che siamo già in un altro mondo rispetto alla stagione euforica e lineare della globalizzazione. La parola chiave che sembra poter risolvere i problemi che abbiamo creato, e che ormai sentiamo risuonare ovunque, dalla pubblicità alla politica, è «sostenibilità». Ma attenzione: non si può ridurre la giusta tensione verso la sostenibilità a un aumento, grazie alla digitalizzazione, dell’efficienza di un sistema che si lascia così com’è.
La sostenibilità richiede la disponibilità a cambiare, abbandonando l’ideale della crescita illimitata (che sta consumando le risorse del pianeta e generando disuguaglianze) e adottare uno sguardo integrale. Perché la sostenibilità sia davvero tale, e non solo una parola «cosmetica» e ideologica, occorre considerare insieme, e nelle loro reciproche implicazioni, la sostenibilità ambientale, quella sociale e quella economica. Non può essere sostenibile un mondo che avvelena l’ambiente e produce scarti umani.