Ci sono molte ragioni per ritenere che quella particolare congiuntura storica, prodottasi tra l’avvento del neoliberismo economico e la stagione politica che nasce con la caduta del Muro di Berlino, ha reso possibile la creazione di una grande “bolla mondiale”, non solo in senso speculativo, ma anche e soprattutto esistenziale. Una bolla che sembrava coincidere con la realtà, ma che era soltanto un’illusione transitoria, una fata morgana: una volta scomparsa, ci ha lasciato senza mezzi per affrontare la sua assenza. E così, risvegliandoci dopo l’esplosione della bolla che ha iniziato a gonfiarsi a velocità sempre crescente a partire dal 1989, ci siamo trovati, con la grande crisi del 2008, in un mondo radicalmente cambiato e diverso da come pensavamo, e speravamo, che fosse.

Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che la ripresa, intesa nel senso proprio della parola, ovvero come un riprendere la strada della guarigione e di una prospettiva futura realmente positiva e ben fondata nella realtà, non c’è. E questo perché è necessario ricercare nuovi equilibri senza scambiare tenui e fisiologici segnali di miglioramento per una ripresa vera e propria che non si vede all’orizzonte. Allora sarebbe necessario capire se, al punto in cui siamo, sia possibile immaginare nuovi assetti che possano riattivare dei processi di crescita. In modo più diretto, significa chiedersi: “che cosa è la prossima crescita economica?”

Non si può rispondere a questa domanda se non si comprende che la crescita è sempre associata all’idea di libertà e di valore. Anche se apparentemente molto distanti, le due cose sono in realtà intimamente legate tra loro. Non ci sarà nessun altro ciclo di crescita senza una riflessione nuova sull’idea di libertà e di valore.

Le nostre società sono fuori squadra. Si stanno trascinando dal 2008 prive di una rotta delineata. Il che non può che esporre a grandissimi rischi. Il sostegno finanziario operato dalla BCE è quanto mai opportuno (e necessario) se pensato come intervento che permette di guadagnare tempo. Ma diventa fuorvianti, e alla lunga pericolose, se è scambiato come la soluzione del problema. Dunque dobbiamo affrettarci per capire cosa intendiamo fare, dove intendiamo andare, per fare cosa. Sono queste le domande a cui rispondere per proiettarci in un futuro che ci porti fuori dalla crisi e all’interno di un nuovo modello di sviluppo. Altrimenti si rischia di restare impantanati in questa sorta di crisi permanente e di scambiare delle zattere di salvataggio per la terra ferma.

Per cominciare a riflettere su questo interrogativo è utile proporre una sintetica raccolta dei principali segni e tracce di ciò che sembra muoversi nel contesto socio-economico contemporaneo. Vorrei presentare questa raccolta in modo disordinato. Il mio obiettivo, qui, è semplicemente quello di almanaccare alcuni fenomeni che è necessario considerare per provare a risultano scorgere il futuro che ci aspetta:

  • Digitalizzazione e rete. Come sappiamo, siamo alla vigilia di una grande trasformazione. Il cosiddetto Internet delle cose, e la rivoluzione produttiva che si accompagna alla fabbrica 4.0 e alle forme emergenti di smart work, cambieranno la nostra vita introducendo il grande capitolo dei big data. Con conseguenze rilevanti anche sulla democrazia e le forme della partecipazione politica.
  • Mercatizzazione della vita. Il welfare è destinato a cambiare radicalmente. Nel quadro di mutamenti in atto in ambito medico ed economico, la vita tenderà a essere inglobata nel processo capitalistico. In società invecchiate e benestanti, il bene più prezioso che il capitalismo avrà da vendere sarà proprio la salute, con una enfasi particolare sui meccanismi della riproduzione e della efficientizzazione.
  • Un nuovo modo di fare impresa. Tra le imprese, specie quelle più avanzate, si fa largo una certa attenzione ai temi della sostenibilità e della legittimazione sociale. Sono ormai tante le organizzazione che pensano che sia arrivato il tempo di andare oltre la corporate social responsibility, con l’adozione di nuovi modelli di business nella linea che M. Porter chiama “valore condiviso” e Jacque Attali “economia positiva”. La sharing economy, la nuova ecologia politica, l’economia circolare, il convivialismo, i commoms sono pratiche destinate a diffondersi e a cambiare il modo di produrre, distribuire e consumare i beni e i sevizi nelle nostre società.
  • Lo sguardo nuovo dei millennials. Diverse ricerche a livello internazionale concordano sul fatto che tra i millennials e gli under 29 si radicano nuove configurazioni di valori. Cose che per le generazioni precedenti sembravano marginali o inesistenti, poiché erano questioni che di fatto non esistevano, per i giovani si delineano come nuove priorità: attenzione all’ambiente e alla qualità delle relazioni, apertura verso lo straniero, domanda di senso orientata a quello che si fa. Il capitalismo è accettato ma guardato con sospetto, si chiede un ruolo dello stato senza statalismo. La tolleranza è un valore diffuso. Si può, forse, arrivare a ipotizzare l’emergere di una nuova svolta relazionale capace di prendere le distanze dal ‘68 e dalle sue successive interpretazioni.

Ed è da quest’ultimo punto che possiamo prendere le mosse per dire che, a livello simbolico, l’immaginario della realizzazione di sé individualizzata nella produzione e nel consumo, che sostiene culturalmente l’aumento delle libertà quantitative individuali, cominci oggi a essere rimesso in discussione dalle nuove domande sociali.

Ed è da queste nuove domande sociali che si deve cercare di ripartire.