Johnny Dotti, pedagogista e docente presso l’università Cattolica di Milano, durante l’assemblea di Zona Agesci “È il tempo del coraggio di esserci, dell’abitare nuovi spazi e nuovi tempi” che inaugurava la stagione degli scout è intervenuto su come “trasformarci al tempo del Covid-19 per camminare insieme ai ragazzi a noi affidati”, per essere educatori pronti a leggere la situazione che stiamo vivendo, capaci di trasformare gli strumenti del metodo scout per continuare ad essere vicini ai nostri ragazzi.
Dotti ha sottolineato che “in questo momento noi, per grazia, attraverso la disgrazia, siamo costretti, siamo invitati, siamo accompagnati dallo Spirito a rallentare, a stare un po’ di più in silenzio, a fare i conti con la nostra fragilità, ad attraversare il vuoto, a fare i conti maggiormente con la nostra solitudine, a trovarci scalzati dalle vecchie abitudini, tutte condizioni di Grazia” e che “il cattolico è colui che guarda i segni dei tempi, ma non li guarda da indifferente, li guarda da ferito, li guarda da colui che sta attraversando esattamente questi tempi”, senza avere la necessità di ricominciare a fare la vita che si faceva prima di febbraio 2020, ma “come dice anche papa Francesco, provando a dare una direzione a una trasformazione inevitabile poiché le grandi dinamiche delle forme sociali, delle forme economiche cambieranno moltissimo, stanno cambiando radicalmente, ma questo da quasi vent’anni, e noi battezzati, credenti, abbiamo la possibilità di partecipare a questo cambiamento facendolo andare dalla parte migliore, per consegnare ai nostri ‘figli’ un mondo migliore”.
Ha provocato i presenti con la domanda “ma che senso avete voi scout a Cesena?” invitando a “discernere i tempi, per capire il nostro pellegrinaggio, da che parte stiamo andando, perché fare lo scout è una vocazione. Perché la nostra tradizione è consegnare un valore educativo ai ragazzi, non un valore prestazionale e funzionale.
Non si diventa buoni cittadini e non si lascia il mondo migliore dopo che si è diventati scout, facendo gli scout. Ma essendo degli scout. Si può dire la stessa cosa per un cattolico: non ci si salva perché sociologicamente si sta dentro il gruppo dei battezzati. Ci si salva perché si fa l’esperienza di essere battezzati.
Così come la storia della Salvezza comincia con un trauma, a cui segue un altro trauma e poi un altro trauma ancora, fino all’ultimo trauma subito da Maria davanti alla tomba vuota, e il Vangelo ripete ’non temere’, (‘non temere Maria’, ‘non temere Giuseppe’, ‘non temere Zaccheo’, ‘non temere…’), anche noi dobbiamo smettere di volere sempre stare in zona comfort. L’uomo cambia solo attraverso le catastrofi, i traumi – anche belli come l’innamoramento – perché la vita è un trauma.
‘Non temere’ non vuol dire negare la paura, negare la depressione, negare i sentimenti che si sentono, vuol dire guardarli, non avere paura di quei sentimenti lì. Guarda la stella. Guarda i principi fondativi che ti hanno portato qua, guarda il senso che ti ha portato fino a qua. Non il fatto che in questo momento non puoi funzionare come prima.
La trasformazione passa attraverso il camminare. C’è un cammino che si fa in gruppo, c’è un cammino che si fa nella solitudine, c’è un ritmo di quel cammino che è capace di aspettare quelli che sono rimasti indietro, c’è un cammino che fa delle soste per poi ripartire, quando fate la route. Questo tempo ci consegna il dovere, la responsabilità,l’obbligazione morale di non camminare da soli. Il problema, ciò che ci dobbiamo chiedere è che contributo noi scout stiamo portando al mondo, non come cambieremo noi scout.
Il trauma mette e rimette in cammino, allora come interpretare i valori e i principi che abbiamo ereditato e metterli a disposizione dell’intera umanità di Cesena, dell’intera umanità dell’Emilia Romagna, dell’intera umanità dell’Europa, dell’intera umanità dell’occidente, dell’intera umanità del mondo?
Non serve tanto stare li a chiederci come organizziamo l’attività, ma quale servizio, in questo momento, possiamo fare al mondo. È questo il servizio che ci chiede Cristo. Partendo dal dare un senso a quello che ci sta succedendo. Senso inteso come direzione, significato e passione, sentimento, commozione, compassione.
Questo tempo, questo attraversamento doloroso del trauma, non ci deve fare chiedere “Come fare?”, ma ci deve interrogare sul “perché?”. Ci chiede il chi, il con chi, il per chi. Ci chiede il che cosa. Solo alla fine ci chiede il come.
“Per cosa?”: pensate che gesto educativo è quello lì. Ai vostri ragazzi state proponendo delle esperienze alternative? Attraverso voi sono in cammino? Guardano altre cose o siete una delle tante offerte delle mitiche agenzie educative. Noi siamo una comunità educante, che è diverso dall’essere un’agenzia educativa.”
Ci ha ricordato che “abbiamo tante cose belle che possiamo ri-inventare e ri-generare in questa fase: dalle camminate, al dialogo con i ragazzi, al fate educazione intergenerazionale.
La pandemia è stata come una apocalissi: ha solo svelato la crisi che c’era già. Ma uno scout e, soprattutto, un battezzato questo non possono accettarlo. Dobbiamo costruire una condizione culturale per dire qualcosa d’altro, per custodire i vostri ragazzi.”