Sceriffo della Contea di Cook, sovrintende una popolazione di oltre 12.000 persone incarcerate o impiegate in programmi alternativi di riabilitazione. In questi anni si è distinto per il suo impegno nell’introduzione di programmi innovativi a favore dei numerosi reclusi con problemi di salute mentale (sono circa 2.500/3.000 le persone coinvolte) e nello sviluppo di attività formative all’interno del carcere La questione del sistema carcerario è un argomento che trova oggi ampio consenso nell’intero arco politico.
Dai più conservatori ai più liberali, tutti concordano sul fatto che quello statunitense è un sistema di sovra-carcerazione, che in carcere ci vanno le persone sbagliate e per periodi troppo lunghi, e che bisogna agire adesso. Abbiamo 2,3 milioni di persone recluse nelle nostre prigioni e nelle nostre carceri e altri 5 milioni in libertà condizionale o vigilata. Numeri di cui non solo dovremmo vergognarci ma che sono insostenibili dal lato umano oltre che fiscale! Nel mio istituto la detenzione di una persona costa 143 dollari al giorno. In altre strutture si arriva a un costo perfino maggiore.
Tutto ciò non è sostenibile. Per questo si stanno ideando nuovi programmi, alcuni davvero innovativi. Nella mia contea abbiamo sperimentato percorsi diversi. In parte ci siamo concentrati sui malati mentali che si riversano nelle carceri e nelle prigioni di tutto il Paese. C’è stato un grande sforzo da parte di persone decisamente miopi nel far chiudere i centri di salute mentale, sia ospedali che cliniche, così oggi queste persone arrivano nelle carceri.
La presenza in carcere di malati psichici e di tanti altri detenuti che in base al crimine commesso non dovrebbero essere lì sta suscitando però una crescente attenzione. I tempi stanno cambiando. A livello nazionale ormai predomina la convinzione che non si sta lavorando in modo corretto. Certo è che ci vorranno iniziative davvero innovative per convincere i cittadini comuni che è possibile avviare programmi sostenibili e che occorre lavorare con le persone per evitare che queste entrino nuovamente nel sistema o che ci ritornino.
Noi abbiamo deciso di dare una formazione ai detenuti. Sicuramente uno dei programmi più innovativi che abbiamo introdotto nel carcere della Contea di Cook è Recipe for Change (la ricetta del cambiamento). E’ un programma davvero fantastico che prevede l’insegnamento di diverse competenze: diventare uno chef, imparare a cucinare, mangiare meglio… Esiste da circa un anno. Il suo fondatore e vera forza motrice è Bruno Abate. Recipe for Change non solo è innovativo, dà risultati.
E’ un’esperienza comprovata e i suoi precedenti sono a Padova, presso Officina Giotto. Bruno Abate è stato a Padova credo tre volte e anche Nicola Boscoletto è venuto nella Contea di Cook.
Bruno è rimasto così colpito dal programma di Padova! Io non l’ho mai visto personalmente, ma ho letto molto e ho visto un video del programma e posso capire perché è fonte di trasformazione. E’ un percorso fantastico. Abbiamo importato da noi il programma e quello che ho potuto osservare è sorprendente. Ho parlato con i detenuti coinvolti.
Dire che trasforma le persone è dire poco! Parliamo di persone che non hanno nemmeno frequentato le scuole superiori e adesso parlano di nutrizione, della preparazione di cibi in un modo che io stesso non saprei mai fare! Ma – cosa ancora più importante – parlano di un futuro che prima non avevano! Ciò che prima non erano in grado di visualizzare, adesso è qualcosa che sentono e che tra breve, quando lasceranno il carcere, sarà la loro realtà. Il programma è fonte di grande ispirazione. Per noi è una straordinaria fonte di stimoli in un ambiente che di solito è molto cupo. Abbiamo constatato che man mano che procede il programma, il coinvolgimento dei detenuti che lavorano da un po’ di tempo con Bruno, aumenta.
Ora, in carcere, svolgono funzioni che non avevano mai assunto prima, ad esempio, preparare le portate. Oggi il nostro obiettivo è creare un menu sostenibile da utilizzare forse anche per le refezioni dei detenuti, ma soprattutto per sviluppare nuove opportunità portando all’esterno il cibo preparato in carcere. La nostra idea è sempre stata cercare di cambiare e umanizzare le persone detenute in carcere, e quale modo migliore, se non consentire loro di interagire con le persone che sono fuori?
Inoltre questo programma prepara i detenuti a uscire dal carcere dato che una parte del percorso prevede di trovare loro uno stage o un impiego dopo la scarcerazione. Lo stesso Bruno ha assunto alcune persone, ed è stato fenomenale da parte sua, ma non è sostenibile in futuro e non possiamo chiedergli di continuare a farlo. Noi speriamo – ed è questo il nostro obiettivo – di poter offrire persone già formate al mercato della ristorazione.
Ho già incontrato imprenditori del settore e sembrano molto, molto interessati, perché la formazione in carcere è più elevata di quella delle persone che solitamente si rivolgono a loro per cercare lavoro. Non posso ringraziare abbastanza le persone di Officina Giotto, Nicola, Bruno! E’ stato fenomenale! Ora l’unica preoccupazione che abbiamo è replicare il programma su una scala più ampia. Vogliamo che coinvolga sempre più persone. Noi speriamo che diventi un modello per l’intero sistema giudiziario del Paese.
(Il testo è un estratto dell’intervento fatto da Thomas J. Dart al convegno «Carcere e lavoro: un dialogo internazionale su un approccio innovativo di riabilitazione» tenutosi a Roma, presso il carcere Regina Coeli, mercoledì 20 maggio 2015)