Il Welfare State è una infrastruttura strategica fondamentale per ogni Paese, sia sotto l’aspetto materiale che immateriale. Esso ha una funzione non solo e non tanto riparativa e ridistributiva, come il tradizionale paradigma lo ha inteso; in una società fluida e complessa, esso svolge soprattutto funzioni di abilitazione, connessione e sicurezza, a livello personale e comunitario, ponendosi quale fattore essenziale per la generazione di sostenibilità e valore condiviso. Se il sistema di welfare italiano oggi è in crisi, di sostenibilità e di senso, è anzitutto perché, nel tempo, si è strutturato e organizzato per silos rigidi ed incomunicanti, le pratiche ed i dispositivi che lo contraddistinguono scontano livelli elevatissimi di frammentazione e non riescono a trovare, a causa di molteplici ostacoli di natura burocratica, culturale, informativa e strumentale, modalità efficaci di integrazione funzionale e strategica.
Il PNRR, approvato ormai anche dalla Commissione Europea, costituisce una occasione preziosissima, forse unica, per rilanciare il welfare italiano e renderlo adeguato a supportare le persone, le famiglie e le comunità nella delicata fase di transizione nella quale ci troviamo.
C’è tuttavia un paradosso, quantomeno possibile; risiede nel fatto che, se il PNRR riuscirà in questo fondamentale compito, non sarà grazie alla sua Missione 5, dedicata a “Inclusione e Coesione”, men che meno alla specifica componente denominata C2, dedicata a “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore”, sebbene a quest’ultima siano attribuiti ben 11,17 miliardi e, nel complesso, per il welfare ne siano stanziati oltre 19. Tale sezione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è infatti disegnata secondo logiche superate; è vero che veicola una quantità di risorse talmente ingente da poter “fare la differenza”, ma è altrettanto vero che fa segno verso azioni e modalità che ripropongono, o perlomeno rischiano di riproporre, quelle medesime logiche a “silos” e “compartimenti stagni” che hanno bloccato e tuttora bloccano lo sviluppo di un welfare comunitario, integrato, davvero universale, accessibile e capace della giusta flessibilità che la dinamica evolutiva dei bisogni comporta. Non ci sono ragioni convincenti che possano portare a pensare che la quantità di risorse disponibili renda più funzionale un meccanismo che è qualitativamente sbagliato ed ormai totalmente inadeguato.
Ciò che servirebbe, per riformare davvero il Welfare Italiano e renderlo un bene comune diffuso e all’avanguardia in Europa, come ha saputo essere in taluni casi e contesti locali nel passato, è una infrastruttura strategica per lo sviluppo ed il futuro del Paese e per la sostenibilità complessiva del sistema di welfare; uno strumento di ricomposizione integrativa multilivello e multistakeholders che, a partire dai principi costituzionali di centralità della persona e sussidiarietà, consenta di superare i limiti che contraddistinguono l’attuale sistema e generare, intorno ad un bene comune definibile “budget di cura” e ad una piattaforma digitale nazionale, una più efficace programmazione delle risorse effettivamente disponibili, nuovi e più agili funzionamenti amministrativi per il welfare italiano e maggiori opportunità di benessere ed inclusione per le persone e le famiglie, a partire dalle più fragili, dalla loro inter-indipendenza e dal saper essere comunità in forme nuove, anche digitali ma pur sempre associate.
Non mancano proposte e progettualità concrete che guardano in tale direzione; l’ultima in ordine di tempo e, sinora, la più convincente, viene, non a caso, dai Comuni Italiani, medianteANCI, la loro associazione nazionale, ed iFEL, la fondazione di ricerca e formazione da essa creata. Il welfare si costituisce e si rigenera infatti “dal basso”, non perché non servano dispositivi nazionali e garanzie uniformi di assistenza sociale e sanitaria in tutto il Paese, che solo lo Stato centrale può dare, ma perché tali trasferimenti monetari e l’organizzazione nazionale dei servizi ad essi collegata assumono senso, concretezza e sostanza trasformativa solo se si calano nei contesti locali in modo efficace ed abilitante; è la Costituzione stessa che riconosce agli Enti Locali il potere esclusivo di organizzare il sistema sei servizi sul territorio, ed è la scelta più corretta, perché non ci sono servizi senza una comunità concreta e non vi è una comunità concreta se essa non si esprime nel campo della cura reciproca, anche attraverso i servizi socio-assistenziali e sanitari.
Secondo ANCI, il futuro del welfare italiano passa di fatto per una rinazionalizzazione del sistema di servizi passando per i Comuni e superando molti degli inefficaci colli di bottiglia di matrice regionale che, dalla riforma costituzionale del 2001 in poi, hanno di fatto comportato l’esplosione del sistema unitario precedente e la sua frammentazione in 21 sistemi di welfare territoriale differenti. A questo riguardo, ciò che l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani sembra accingersi ad elaborare è una piattaforma digitale pubblica ed aperta, che costituisca infrastruttura strategica unitaria per tutti i providers di prestazioni e servizi di welfare pubblico, privato e comunitario, a livello sia nazionale che locale, al fine di affrontare e superare i limiti attuali del sistema di welfare italiano ed ottenere:
•Integrazione e capacità di analisi avanzata di tutte le informazioni e dei dati disponibili in tema di welfare, così che tutti i decisori competenti abbiano a disposizione consistenti elementi evidence based per ottimizzare la programmazione dell’utilizzo delle proprie risorse ed il funzionamento dei dispositivi da loro gestiti;
•Un più efficace controllo sulla spesa sociale e sul take-up e il non take-up delle misure di welfare da parte dei cittadini, per ottimizzarne l’accessibilità e per prevenire e contenere i possibili abusi;
•La ricomposizione di tutte le risorse disponibili per ciascun beneficiario in termini previdenziali, socio-assistenziali e socio-sanitari, in un unico “budget di cura” utilizzabile con maggiore appropriatezza ed agilità dal cittadino e dalle istituzioni erogative;
•Un’unica struttura nazionale con interfacce locali personalizzabili per l’accesso alle prestazioni e ai servizi del welfare, in una logica marketplace, garantita, in termini di qualità e universalismo dell’offerta, dal controllo pubblico del sistema;
•La creazione ed abilitazione di uno spazio di interazione e connessione tra ambiente digitale ed ambienti fisici locali nel quale mobilitare ed attivare le risorse comunitarie della gratuità, della prossimità e della mutualità a servizio del benessere reciproco, senza ricondurle al controllo pubblico ma inserendole in una governance condivisa (logica del bene comune).
Per raggiungere tali obiettivi la piattaforma deve avere, secondo ANCI, natura, funzionamenti e governance multilivello e multistakeholders, superando la tradizionale e confusa logica di separazione tra welfare pubblico nazionale, welfare pubblico locale, welfare di comunità, welfare occupazionale/aziendale, welfare privato.
L’ottica mediante la quale effettuare tale ricomposizione è quella di considerare il Welfare, ed in particolare il “budget di cura” che a ogni persona è reso disponibile secondo il suo bisogno ed i rischi cui è soggetto, come un “bene comune”, né interamente pubblico né interamente privato, la cui governance è indirizzata e garantita dal sistema pubblico ma è partecipata e resa solida dalla contribuzione di tutti, secondo le possibilità di ciascuno.
E’ senza dubbio una prospettiva ambiziosa e dall’elevatissimo potenziale generativo, che potrebbe rappresentare, su larga scala, con un investimento nell’ordine di poche decine di milioni di euro, molta pazienza, un po’ di volontà politica e una certa dose di competenza, uno di quelli esempi di “milieux digitale associato” che Bernard Stiegler ci invita a sviluppare per fronteggiare la governamentalità algoritmica entropica dei poteri multinazionali che ovunque estende i suoi tentacoli e cui tutti sembriamo oggi essere assoggettati.
E’ un peccato che la Missione 5 del PNRR non consenta in alcun modo, per la cultura che esprime e per come sono strutturate le sue componenti, di sviluppare un tale tipo di progetto e renderlo pivotale rispetto ad ogni altro cambiamento. Ma non tutto è perduto, tantomeno rispetto al PNRR. Esiste infatti, nel testo sottotitolato #NextGenerationItalia, una Missione 1, è dedicata alla “digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”. Apparentemente qui il Welfare non c’entra nulla, ma è solo un’apparenza. Cosa è infatti il welfare se non una infrastruttura costitutiva e fondamentale rispetto ai processi di generazione del benessere e al loro sviluppo sostenibile e digitale cui il PNRR guarda? Se dunque i responsabili dell’attuazione del Piano, a partire dal Governo, cogliessero l’opportunità di considerare come una piattaforma quale quella prevista da ANCI e iFEL potrebbe rilanciare non solo il Welfare, ma, con esso, l’occupazione, lo sviluppo, le opportunità, le competenze latenti nel Paese, quale migliore collocazione, per il suo sviluppo, che la Missione 1? Anche senza scomodare i fondi per il turismo e la cultura, trovare risorse per implementare un così nevralgico servizio di cura all’interno degli oltre 33 miliardi di euro residui non sarebbe davvero un compito impossibile.
E’, come sempre, questione di visione, di cultura, di volontà politica e di scelta competente e lungimirante.
Dicono che questo treno non passerà di nuovo; non per molto tempo almeno. Potrebbe essere il caso di non lasciarlo passare invano per il Welfare del nostro Paese.