I fatti di queste ultime settimane, che emergono come punte acuminate, nel vasto torpore della pandemia, mi hanno messo in testa un faticoso rovello.
Come se, oltre il fiume di belle parole (andrà tutto bene, nessuno rimarrà indietro) vedessi in realtà crescere una coltre di lustrini e malaffare a ricoprire il nostro bel paese.
Come se dalla lunga malattia emergesse un pensiero corto, anzi cortissimo, che ha il passo felpato della vanità, i lustrini dell’inganno e i tempi della comparsata televisiva. Così il senso della responsabilità è andato perduto. Quello antico della fede (il legame con i comandamenti) ma anche quello nuovo delle classi borghesi (il legame con il lavoro), il beruf, quel modo di agire che viene da Kant non meno che da Lutero, per cui ogni gesto doveva essere compiuto nella misura della responsabilità.
Oggi ci si riempie la bocca di continuo con parole altisonanti ma la realtà dei fatti resta miserevole: un’accozzaglia di piccoli istinti primari (il fatto di riprendere al più presto la vita di prima e il guadagno) o estetici (l’abito, il belletto, il piccolo vizio). Mi domando se proponendo i nostri ideali (la generatività, la bellezza/qualità o semplicemente un’economia più civile), non stiamo chiedendo al nostro paese un salto troppo acrobatico per la sua sfatta coscienza. Suona troppo forte, di questi tempi, lo stridore dell’ingiustizia: il ponte Morandi, il laminatoio di Prato, la funivia di Stresa.
Imprese marce di cui ci si dovrebbe vergognare e non ci si vergogna abbastanza, pagine che si continua a chiudere e archiviare mentre, una dopo l’altra, costituiscono il volume della nostra vita. Forse l’acrobazia, per passare dall’ingiustizia alla generatività, risulta troppo temeraria per la nostra gente assopita da anni di delirio consumistico e televisivo, forse la ricerca di un sentiero antropologicamente significativo che ci consenta di aprire e generare una strada nuova, di cui parla Magatti, deve, attraverso l’educazione di molti e l’esempio delle imprese migliori, inevitabilmente passare, per un punto intermedio, in cui noi tutti si punti i piedi sulla responsabilità e sul rispetto.