Sociologo ed economista, Mauro Magatti spiega: “che ci sia una spinta al ‘ritorno alla normalità’ è sano. L’elemento reattivo non va disprezzato, perché è un modo di ritrovarci vivi dopo il trauma. Ciò che va evitato, però, è la rimozione del trauma, quando dobbiamo utilizzare la ferita subita come un modo per generare una vita migliore”.
Il professore, editorialista del Corriere della Sera, porterà queste sue riflessioni anche in una delle zone più colpite della pandemia, a Nembro. Sarà infatti ospite mercoledì 15 luglio del Festival delle Rinascite (piazza della Libertà, ore 21, ingresso gratuito previa iscrizione). L’incontro è organizzato dall’Oratorio, dal Comune e dalle associazioni locali: avrà come titolo “La fragilità e la cura al tempo del Covid-19” e sarà introdotto da Maria Grazia Gritti, responsabile dei servizi alla persona del Comune di Nembro.
Il suo intervento avrà luogo in quella Valle che – oltre ad aver pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane – si trova adesso a fare i conti con l’analisi delle responsabilità sulla “zona rossa”. Riattraversando un periodo in cui la bilancia pendeva tra l’urgenza sanitaria e quella economica. Prima ancora di rinascita e cambiamento Magatti dovrà parlare di questa dualità e dei suoi effetti: “ è una tensione che nessuno può immaginare di risolvere facilmente, perché è la tensione polare presente in una vita che va protetta. La protezione infatti non è solo incolumità fisica, interessa altre dimensioni e ciò che abbiamo vissuto ci ha mostrato come le nostre società siano impreparate a guardare questa tensione e confrontarsi con essa con onestà e sincerità”.
Non è la prima volta che Magatti parla della pandemia in corso e dei possibili sviluppi futuri che ci attendono: “ In questi giorni ho scritto spesso che ci ritroviamo come sospesi tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta. Davanti a noi si aprono queste due possibilità: il malcontento e la rabbia possono essere focolaio di nuove ideologie distruttive come quelle che hanno portato alla Seconda guerra mondiale. Ma potremmo anche reagire come fecero i nostri padri proprio alla fine del secondo conflitto mondiale, che seppero uscire da quel disastro costruendo un assetto economico e sociale che ha portato una stagione prospera”.
Per il sociologo – membro tra le altre cose di Generativa, un network di persone e competenze unite per promuovere la cultura della generatività e liberare le tante energie positive del Paese – siamo quindi di fronte a un bivio. Che da una parte si accende di speranza e dall’altra ci accompagna al tracollo: “Non esiste una persona o un’istituzione in grado di determinare il processo. Ci sono una serie di fattori che a un certo punto formano un nuovo assetto, ma bisogna sapere che l’idea di tonare a prima è una pura illusione. Quel prima non c’è più, il virus è ancora in giro, dal punto di vista economico la crisi è enorme”.
Nell’aria resta sospesa una domanda comune, ovvero se la vicenda sarà capace di smuoverci, “per questo è importante che in una zona come Bergamo la memoria sia coltivata, nel senso profondo del termine”.
Il tempo estivo in cui ci siamo immersi può dunque essere quello utile a modificare gli assetti, i modi di vivere, di fare e produrre per uscire positivamente da questa situazione e adottare una modalità diversa. In questo processo la svolta tecnologica può essere un’occasione: “Che sia una possibilità concreta non c’è dubbio, ma dobbiamo anche essere consapevoli che viviamo in una società capace di convincerci che la nostra felicità corrisponde alle possibilità di vita. Non si tratta solo degli oggetti che possiamo possedere o dei viaggi che possiamo fare, ma in senso più ampio delle possibilità che abbiamo. Questo modello ha bisogno di un’economia che corre e spreme persone e comunità. Modificare questo circuito è un’operazione culturale complessa e profonda. Possiamo augurarci che ci si possa spingere verso una nuova direzione, ma la questione è lunga nel tempo e incerta, e richiederà che non si dimentichi quello che ci è apparso chiaro in queste settimane”.
Poi conclude: “La vera buona notizia su cui si può tentare di costruire sono le decisioni che l’Europa ha maturato in questi mesi e la disponibilità di risorse capaci di imprimere un processo di cambiamento. Il fatto che l’Europa prenda questa decisione però non basta, serve poi l’intervento dei governi, dei produttori, dei lavoratori. E anche giovani coraggiosi che abbiano la forza di avviare il cambiamento”.